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Machine learning: il nuovo (co)protagonista

Scritto da Davide Dattoli | 30/11/17 9.00

Nella serie televisiva degli anni Ottanta Supercar l’avventuroso protagonista Michael Knight è sempre alla guida del personaggio coprotagonista Kitt, un’auto dotata di intelligenza autonoma. Questa ha un ruolo importante nello storytelling del telefilm: aiuta il personaggio principale a portare a termine i compiti più complessi. Come? Attraverso l’apprendimento automatico, cioè l’analisi di informazioni e dati self-driven.

Il Machine Learning, che sarà forse la più grande rivoluzione tecnologica dei prossimi dieci anni, si basa su grandi quantità di dati e molteplici algoritmi che concorrono per ottenere un risultato sulla base di questi dati, o per generare nuovi algoritmi pur di raggiungere il risultato richiesto.

L’accesso a enormi quantità di dati
Un esempio? Il sistema NMT (Neural Machine Translation) di Google Translate che è riuscito a sviluppare autonomamente una sorta di interlingua per tradurre da e verso lingue per le quali il sistema sorgente non era stato programmato. Oppure Facebook, che, avendo accesso a una quantità esorbitante di dati, ha sviluppato uno dei più efficaci sistemi per il riconoscimento delle immagini.

Infatti, come afferma Alessandro Chessa, coordinatore scientifico del Master in Business Data Analysis di TAG Innovation School, la scuola dell’innovazione di Talent Garden, «il vero punto di svolta si è avuto quando questi sistemi di Machine Learning hanno potuto far leva sulla massa di dati che si stava accumulando da varie sorgenti di approvvigionamento sulle piattaforme Cloud».

L’accesso a enormi quantità di dati, Big Data, associato alla capacità di autodeterminare nuove risoluzione ai problemi, consente quindi alle moderne macchine di realizzare risultati davvero interessanti e sempre migliorabili. 
Associate a questa tematica esistono diverse opinioni, come emerge dalla recente notizia sui due bot implementati da Facebook.

La human intelligence
Lo scienziato Stephen Hawking e Elon Musk, fondatore di Tesla, hanno più volte parlato del rischio di un approccio incauto all’uso della Intelligenza Artificiale mettendo in guardia su come questa venga adoperata. 
Invece Bryan Johnson, fondatore di Kernel un’azienda attiva nel campo, afferma: «Non si tratta di contrapporre l’intelligenza artificiale agli umani, ma di creare una HI, human intelligence, la fusione tra esseri umani e intelligenza artificiale».

Insomma il Machine Learning sta diventando coprotagonista delle nostra vita e a confermarlo sono i dati. Secondo la recente ricerca Digital Transformation e PMI italiane nel 2017, entro il 2020 il 22% delle piccole e medie imprese effettueranno investimenti in Machine Learning (Leggi l’articolo di LINC). Di respiro internazionale e attuale i dati emersi dall’indagine di Tata Consultancy Services: il 40% delle imprese utilizza il Machine Learning nel marketing e il 76% di queste ha visto crescere i profitti. Ciò significa che quasi la metà delle aziende lascia che siano gli algoritmi a raccogliere i dati e a dare soluzioni su come proporsi ai clienti.

Proprio come Amazon: a chi non è mai capitato cercare il titolo di un libro e veder spuntare i suggerimenti? Il Machine Learning riconosce i bisogni dell’utente in base alle ricerche precedenti e lo aiuta. È magia? No, è semplicemente analisi automatizzata, ma il fulcro rimane sempre la relazione, l’interazione tra uomo, protagonista, e macchina, coprotagonista.

Quello scambio tra tecnologie e cultura umana
Come afferma Leandro Agrò nel suo libro Internet of Humans, della collana TAG Books «oggi è necessario progettare la relazione utente a partire dalle storie che rendono coprotagoniste le tecnologie che disegniamo. Come Sam, il fratello di Nathan Drake (Uncharted4), come Slackbot, il team member programmabile che ci aiuta sul lavoro, o Jibo e gli altri companion robot che vorremo aggiungere al nucleo familiare con la stessa dignità che daremmo al pesce rosso o al criceto».

Tutto ciò rende quindi indispensabile la progettazione non solo di interfacce, ma di caratteri, comportamenti, proattività basati su deduzioni e relazioni per dare una forma a queste tecnologie sempre più intime, empatiche. Quindi il Machine Learning non dovrà solo interpretare i nostri bisogni, ma essere influenzato e prendere forma a seconda delle nostre vite. «Noi forgiamo le tecnologie e queste danno forma alla nostra cultura più avanzata, più sofisticate saranno le tecnologie, più rilevanti diventeranno i fattori umani (Leandro Agrò)». 
Il Machine Learning sarà la porta d’ingresso nel nostro mondo sociale e privato e accompagnerà le nostre vite: risultato delle tecnologie che useremo.