«Sono un essere umano, tutto ciò che è umano mi riguarda». Forse non è un caso che la frase dello scrittore latino Terenzio sia la massima che ispira Simone Miatton, numero uno di Michelin Italia. Sembrano mondi lontani ma basta pensare ai risultati raggiunti in questo senso da Michelin per convincersi del contrario. L’azienda ha cercato sin da subito un legame di vicinanza con i propri clienti e da quest’esigenza è nata una mascotte che “umanizza” il prodotto, ispira simpatia e affidabilità. Il Bibendum, meglio noto come Omino Michelin, è entrato nell’immaginario collettivo e, nel corso di oltre un secolo, è stato definito miglior logo della storia dal Financial Times e, nel 2018 – anno del suo 120° anniversario – Icona del Millennio dall’Advertising Week. Gli pneumatici compongono il logo Michelin, ma sono soprattutto il core business dell’azienda francese con una produzione annua di 190 milioni di pezzi (2017). Ma la mobilità, qui in Michelin, è intesa a 360°. Abbraccia le tradizioni e le novità enogastronomiche e il mondo dei viaggi con più di 8 milioni di carte e guide pubblicate (2017) e 187 miliardi di chilometri calcolati da ViaMichelin (2017).
Che tipo di cambiamento ha apportato alla sua azienda?
«In vent’anni di vita in azienda sono molti i cambiamenti vissuti e introdotti. Michelin sperimenta costantemente nuovi modi di lavorare e i dipendenti contribuiscono attivamente alla loro messa a punto partecipando a dimostrazioni e fasi pilota che permettono di testare le novità in condizioni reali. A questo proposito ricordo, in particolare, quanto fatto in ambito industriale con le “Organizzazioni Responsabilizzanti (OR)” e il “Management Quotidiano della Performance (MQP)”, progetti che hanno cambiato radicalmente le nostre fabbriche. Oggi in Italia siamo impegnati nell’esecuzione del nostro Piano Strategico 2016-2020, che comporta una revisione profonda del nostro assetto produttivo e logistico, con lo scopo di migliorare la nostra competitività e il servizio al cliente e della messa in opera della nuova organizzazione mondiale del Gruppo».
Quali sono i prossimi passi in questo senso?
«Il nostro Piano Strategico è a un buon punto di avanzamento: manteniamo alta l’attenzione sulla gestione delle persone impattate dai cambiamenti e dobbiamo portare a termine con successo gli investimenti programmati, per avviare così un nuovo ciclo positivo. Per quanto riguarda la nuova organizzazione mondiale del Gruppo si devono apprendere nuove abitudini e trovare i riferimenti nella nuova realtà: si tratta di accompagnare le persone alla scoperta delle nuove modalità di funzionamento, facendo anche leva sull’autonomia disponibile per la definizione di soluzioni locali in risposta a esigenze globali. Il comune denominatore è la gestione del cambiamento».
Crede che il cambiamento sia una leva importante anche per i singoli dipendenti?
«Ho imparato, nel corso degli anni in azienda e confrontandomi con esperti in psicologia del lavoro, che l’essere umano ha una straordinaria capacità di minimizzare il proprio consumo di energie psicofisiche in un ambiente stabile grazie all’ottimizzazione del proprio funzionamento. Altrettanto straordinaria è la capacità che ha di adattarsi al cambiare delle condizioni, a patto che questa capacità venga costantemente allenata. Mantenere un’elevata elasticità cognitiva permette alle persone di apprendere continuamente e sviluppare appieno il proprio potenziale personale e professionale a qualsiasi età».
In che modo il cambiamento apportato dalla Quarta Rivoluzione Industriale sta impattando sul suo lavoro?
«Ne è al centro perché una delle quattro iniziative strategiche del Gruppo è la digitalizzazione: gli investimenti che stiamo realizzando in Italia sono all’insegna dell’Industria 4.0, tutti i dipendenti (operai compresi) hanno un account aziendale con posta elettronica e applicativi vari tra cui quello riguardante la gestione e lo sviluppo (descrittivo di posto, performance e competenze, retribuzione e carriera) e un team multidisciplinare sta definendo la road-map che ci permetterà di far evolvere la nostra cultura per utilizzare al meglio le potenzialità offerte dal digitale».
Quali criticità | opportunità vede per i giovani di oggi?
«Osservo quotidianamente che i giovani che entrano oggi nel mondo del lavoro possono far valere le loro competenze “native” in ambito digitale e questo li avvantaggia rispetto alla generazione “analogica”, che deve apprendere il digitale e non solo da un punto di vista squisitamente tecnico. La loro freschezza di approccio, inoltre, si sposa bene con il contesto attuale di incertezza che richiede di testare e valutare le idee velocemente, validare o rigettare in funzione dei risultati e ripartire. La criticità può consistere nella capacità di “sopportare” un ambiente aziendale che sta compiendo la transizione e in cui coesistono, quindi, modi di funzionamento vecchi e nuovi».
I robot ci ruberanno il lavoro?
«Credo che alcuni lavori verranno fortemente impattati dalla crescente capacità delle macchine di agire in funzione dell’interpretazione del contesto in cui si trovano a operare, sia esso fisico o logico. Ma questo permetterà alle persone di potersi dedicare a lavori meno monotoni e routinari, andando a valorizzare, tra le proprie potenzialità relazionali e creative, quelle che potranno dare ancor più valore aggiunto in campi dove le macchine non saranno ancora operative».
Che rapporto ha con il digitale?
«Ho sempre cercato una via di mezzo che mi permettesse da una parte di conoscerlo a sufficienza per non sentirmene intimorito e accogliere apertamente le novità e, dall’altra, di non diventarne “schiavo” e incapace di lavorare altrimenti».
Con quale personaggio del passato le sarebbe piaciuto lavorare?
«Per rimanere nell’ambito dell’ingegneria e dei cambiamenti epocali e considerando la mia specializzazione aeronautica, penso che sarebbe stato interessante vivere con i fratelli Wright l’avventura della progettazione e costruzione del primo aeroplano che prese il volo nel 1903».
Da dove deriva la sua attitudine al cambiamento?
«Sono incuriosito dalle novità, mi è sempre piaciuto fare cose nuove e scoprire piuttosto che ripetere quanto già provato».
Quali competenze della vita ritiene importanti?
«L’ottimismo e l’adattabilità, la determinazione e la perseveranza, la capacità di apprendere continuamente».
C’è una particolare esperienza extra – lavorativa che le è tornata utile nel suo lavoro?
«Credo che alla fine tutte le esperienze possano arricchirci: i testi che leggiamo, le persone che incontriamo, gli eventi che viviamo. Tra le foto che conservo in ufficio c’è quella con il saluto di un mio team e una frase di Steve Jobs, che parla proprio di questo: “Non è possibile unire i puntini guardando avanti, si possono unire solo dopo, guardando indietro. Così bisogna aver sempre fiducia che, in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire”».
C’è una massima che la guida? E un mentore?
«Sono fautore di un approccio alle cose a 360°, umanistico e, quindi, mi è sempre piaciuta la frase di Terenzio: “Sono un essere umano, tutto ciò ch’è umano mi riguarda”. Il mentore? Diciamo il maestro Yoda di Guerre Stellari, saggio e ironico?».
Cosa sognava di fare da bambino?
«Dicevo a tutti che volevo fare lo scienziato, poi ho scoperto che poteva essere troppo teorico e ho preferito l’ingegneria, non me ne sono mai pentito…».
Questa intervista verrà pubblicata su una rivista aziendale che è nata 10 anni fa con lo scopo di diffondere cultura sul lavoro. Michelin rappresenta uno dei primissimi casi di Brand Journalism con la sua Guida già nei primi anni del ‘900. Aggiungerei che ha sempre avuto un’attenzione molto alta e dimostrato una forte innovazione nella comunicazione (vedi i Manifesti d’artista e lo storico Omino Michelin). Da cosa nascono questa volontà e questa commistione?
«Gli pneumatici, nonostante l’alto contenuto di tecnologico e il ruolo cruciale che ricoprono come unico punto di contatto tra i veicoli e il terreno, non sono una categoria di prodotti “visibili”, la cui esperienza di acquisto suscita particolari emozioni nei consumatori. L’esigenza di dare visibilità al prodotto ha ispirato l’idea dell’Omino fatto di pneumatici che, in questo modo, diventano fisicamente visibili ed empatici con il consumatore. La Guida nasce dall’esigenza di posizionare l’Azienda e, dunque, il suo prodotto, come attori fondamentali della mobilità: Michelin ti consiglia e ti aiuta a viaggiare bene in un periodo, inizio secolo scorso, in cui ogni viaggio era un’avventura. La Marca con i suoi prodotti e servizi diventa essa stessa attrice e promotrice dello sviluppo della mobilità. Ragionamenti pionieristici fatti all’inizio del 1900. La cura e la precisione delle informazioni riportate nella Guida, combinate al susseguirsi delle edizioni nel corso degli anni, sono diventate narrazione dello sviluppo della mobilità e degli usi e costumi dei viaggiatori per oltre più di un secolo. Il tutto ovviamente by Michelin».