Sir Ernest Shackleton ha sfidato per tre volte il Polo Sud. La sua nave è finita a brandelli sui temibili ghiacci dell’Antartide, ma lui non si è arreso. Anzi, ha salvato tutti e 27 i membri del suo equipaggio. È una storia emblematica. Una di quelle che per Stefano Venturi sono d’ispirazione. Già, perché per il Presidente e AD di Hewlett Packard Enterprise Italia e Vice Presidente di Hewlett Packard Enterprise Inc., esplorare fa rima con innovare. E tutto, per HPE, lo storico colosso dell’IT, è innovazione. Specie oggi, immersi come siamo nella Data Driven Society. Un’epoca in cui la missione più avvincente da compiere è quella del cambiamento.
Shackleton, l’eroe dei ghiacci è anche il suo eroe. Come mai?
«Da piccolo ho sempre sognato di fare l’esploratore, ho vissuto gli anni dell’infanzia ammirando le imprese di Walter Bonatti, ma c’è un libro che più di tutti mi rappresenta ancora oggi ed è “Endurance. L’incredibile viaggio di Shackleton al Polo Sud”. Questa vicenda è per me il perfetto esempio di cosa renda gli uomini capaci di realizzare l’impossibile. Sono convinto, infatti, che la fortuna non si costruisca con amuleti o superstizioni, ma con la curiosità, la voglia di apprendere e lo spirito di adattamento».
È con questo spirito che dobbiamo affrontare anche la Quarta Rivoluzione in atto?
«Il cambiamento che stiamo vivendo è unico nella storia del genere umano, soprattutto per la velocità con cui si manifesta. Sono tre le evidenze empiriche cui assistiamo: una grandissima disponibilità di dati, un’ampia diffusione di smart device e la formulazione di nuovi algoritmi matematici in grado di abilitare Big Data Analytics, Artificial Intelligence e Internet of Things. Alla luce di un quadro così definito, risulta immediatamente percepibile che il fattor comune al centro di tutto è il dato: la Data Driven Society è la rivoluzione dell’epoca moderna. Dalla sicurezza all’entertainment, dallo sport alla scienza, passando per tutti gli strati sociali, senza alcuna discriminazione: siamo tutti parte attiva di questa rivoluzione. Ed essere pronti non è solo una questione tecnologica, ma soprattutto una questione culturale».
HPE ha affrontato gli effetti di questa trasformazione sulla sua stessa pelle. Quale cambiamento sta imprimendo lei per segnare il nuovo corso della storia aziendale?
«HPE è stata la prima Garage Company della Silicon Valley e del mondo, nata nel 1939 grazie a due giovani ingegneri elettronici, William “Bill” Hewlett e David Packard, che hanno avviato la produzione di un oscillatore audio (HP 200), utilizzato dagli ingegneri del suono della Walt Disney per la produzione del film “Fantasia”. Da allora la società è molto cambiata e recentemente ci siamo trasformati per indirizzare e guidare il mercato delle nuove tecnologie emergenti. Oggi, nella nuova veste di Hewlett Packard Enterprise e nell’era della Data Driven Society portiamo avanti questo percorso in modo ancora più mirato per giocare un ruolo primario in quella che è forse la più grande rivoluzione industriale della storia. Creiamo soluzioni tecnologiche e mettiamo a disposizione le nostre competenze per consentire di aggregare, correlare ed estrarre valore da un’incredibile mole di dati così che possano trasformarsi in azioni, prodotti e nuovi modelli di business. Inoltre, grazie ai forti investimenti in ricerca e sviluppo e a una rete di partner specializzati, intendiamo portare l’innovazione a “chilometro zero”, ovvero in prossimità di tutte le imprese e organizzazioni del territorio».
Ma come si genera l’innovazione?
«Noi crediamo nell’open innovation, un modello nel quale le parole chiave sono confronto, ecosistema e rete del valore. Non si parla più di fornitori ma di partner, coinvolti nel processo di innovazione fin dalla fase di progettazione. E cambia anche il rapporto con le startup, non più concepite come un mercato da acquisire, ma come un insieme di competenze e brevetti che fertilizzano il terreno aziendale e permettono di sviluppare un’idea imprenditoriale molto più in fretta. È d’esempio quanto fatto con il progetto HPE Innovation Lab, un’iniziativa tutta italiana che vede la creazione della prima rete di centri di innovazione tecnologica a disposizione delle aziende del nostro territorio. Abbiamo creato un ecosistema unico e innovativo in cui consolidare il rapporto con i partner sul territorio e accogliere i clienti in un ambiente interconnesso, pensato per raggiungere insieme gli obiettivi di Digital Transformation del Paese. All’interno di questi poli dell’innovazione, clienti e partner potranno eseguire test di progetto completi, usando un approccio collaborativo che coinvolge tutta l’organizzazione e la struttura di vendita e prevendita. Inoltre, i partner coinvolti nel progetto Innovation Lab sono impegnati anche in attività di co-marketing dedicate».
Qual è il più grosso ostacolo che incontra rispetto al cambiamento quando si rapporta con le aziende che devono affrontare la digital trasformation?
«Affinché l’Italia sia in grado di cogliere le opportunità offerte dall’automazione e dall’innovazione, creando nuovi posti di lavoro ad alto valore aggiunto, è necessario che vengano fatte delle scelte finalizzate a gestire il cambiamento, anziché subirlo. Le aziende dovranno innovare i propri modelli di business e il loro sistema formativo per preparare le persone a essere più flessibili e aperte alle innovazioni. Occorre impegnarsi in attività di formazione e aggiornamento permanente su temi legati alle nuove tecnologie, strumenti indispensabili per permettere ai lavoratori di utilizzare al meglio le nuove piattaforme, cogliendo le opportunità che queste offrono. Le maggiori difficoltà risiedono nell’accettare la necessità di cambiare paradigma ed essere sempre più aperti e flessibili alle mutazioni del mercato di riferimento».
E quali valori faranno la differenza nell’epoca dell’economia delle idee?
«Economia delle idee significa che anche chi non ha a disposizione risorse economiche enormi può essere dirompente. La differenza tra avere un’idea e fare innovazione, dunque, sarà sempre più piccola. E sempre più importanti saranno i dati: una materia prima preziosissima, ma grezza, da cui bisognerà estrarre valore con tecnologie e competenze idonee. Sono, infatti, sempre più richiesti i Data Analyst e i Data Scientist, anche se molte delle professioni del prossimo futuro devono ancora essere “inventate”».
Ma c’è qualche settore che le piacerebbe non venisse “contagiato” dall’innovazione?
«Fondamentalmente nessuno: l’innovazione, sia essa radicale o incrementale, è una componente imprescindibile del progresso. Io stesso amo il cambiamento, anche a livello personale. Lo ritengo una leva di crescita fondamentale per chiunque abbia voglia di migliorare e migliorarsi».
Da cosa deriva questa sua attitudine?
«Ho sempre amato l’innovazione. Probabilmente è anche per questo motivo che apprezzo molto la musica jazz: un genere musicale mai simile a se stesso, dove ogni esecuzione è unica e la capacità di improvvisare riveste uno dei suoi principi cardine. Inoltre, credo che questa mia attitudine sia una diretta conseguenza dell’avversione verso il concetto di noia: tendo ad annoiarmi in fretta, ho quindi bisogno costantemente di nuovi stimoli».
Ritornano le sfide, come un vero esploratore.
«Sì, non a caso una delle mie più grandi passioni è l’arrampicata in montagna: un’esperienza che si è rivelata molto formativa anche per la vita professionale. Mi ha insegnato l’adattamento al variare degli agenti esterni, la resilienza e il lavorare secondo un obiettivo, principio chiave che ti permette di rimanere motivato anche nei momenti più difficili».
È questo che consiglierebbe anche ai giovani?
«Ai giovani dico di non smettere mai di essere curiosi, di studiare e di mettersi in gioco, innovando costantemente perché gli esami non finiscono mai. Oggi sappiamo che oltre alle competenze digitali, sia tecniche sia di business, saranno infatti sempre più richieste le cosiddette soft skills come disponibilità, flessibilità e apertura al cambiamento. Inoltre, io ho un principio che mi guida e che vorrei condividere anche con le nuove generazioni: più che la meta, nel viaggio, contano i compagni con cui lo affronti e l’etica che ti lega a loro».
A proposito di compagni di viaggio, c’è un personaggio storico con cui le sarebbe piaciuto condividere un pezzo del suo cammino?
«Come diceva Inge Feltrinelli: “per me esiste solo il futuro”».