Come si misura la capacità di leadership nell’epoca di AI e Big Data? ManpowerGroup ha sviluppato un sistema validato scientificamente che calcola il grado di “reattività” di ciascun leader alla trasformazione digitale: il DigiQuotient. A spiegare come funziona e quale impatto ha sulle organizzazioni è Tomas Chamorro Premuzic, Chief Talent Scientist di ManpowerGroup. Non c’è azienda che non sia impegnata nella ricerca del T-Factor, ma non sempre ciò che le organizzazioni fanno per attrarre e trattenere i migliori talenti, genera risultati positivi.
La ragione? Errori di selezione, demotivazione, potenziali di performance sopravvalutati. Premuzic, professore di Business Psychology presso lo University College di Londra e Visiting Professor alla Columbia University nonché Chief Talent Scientist di ManpowerGroup, per riconoscere il talento si avvale di scienza e tecnologia. “L’intuito da solo non basta: servono soluzioni pratiche e criteri oggettivi per eccellere nel talent management. Sono i dati – assicura Chamorro – la vera chiave per gestire il talento”. Del resto, mai come oggi, nell’era della digital disruption, ogni individuo lascia online, dietro di sé, milioni di “tracce” che possono guidare gli esperti delle risorse umane nell’i ndividuazione del talento. Ma cosa rende una persona un vero talento? “Essere talentuosi – spiega Chamorro – significa riuscire a unire straordinarie abilità con incredibili risultati. Cosa che non capita molto spesso”.
È molto più frequente, in effetti, scovare persone che riescono a raggiungere importanti traguardi pur senza avere capacità brillanti o, viceversa, persone che, pur molto preparate, faticano a emergere. “Questo perché alla competenza vanno associate le abilità sociali e l’etica professionale. Sono soprattutto questi ultimi due aspetti a rendere un candidato davvero appealing” – chiarisce l’esperto. E per capire chi possiede tali caratteristiche, Chamorro ha creato specifici tool. Strumenti che non solo consentono di individuare il talento ma che aiutano anche le aziende a gestirlo. La dispersione dei talenti, infatti, è uno dei problemi più diffusi nelle organizzazioni. Non a caso, sono sempre di più le persone che scelgono la via dell’autoimpiego o che soffrono la leadership del proprio capo. Basta digitare la parola “capo” o “leader” o “boss” su qualsiasi motore di ricerca, per vedere come a essa siano associati improperi di ogni genere. Nella sfida contro la talent delusion, dunque, le aziende sono chiamate a ridefinire i tradizionali criteri di selezione e gestione dei collaboratori puntando oltre che sull’attrazione dei talenti anche sulla gestione delle cosiddette “persone tossiche”.
Secondo un recente studio della Harvard Business School, infatti, evitare un dipendente tossico per un’azienda può essere molto più vantaggioso che attrarne uno di talento. Tutte valutazioni che possono essere condotte grazie all’ausilio della scienza. “Siamo in grado di elaborare test che, con un tasso di successo dell’85%, registrano i risultati di ciascun lavoratore, consentendo alle aziende di fare le scelte più intelligenti ed efficaci, usando la tecnologia come una sorta di telescopio utile ad affinare al meglio la propria strategia. E questo – conclude Chamorro – è il più grande cambiamento degli ultimi tempi”.