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Comparto orafo: il gap è generazionale

Scritto da Redazione di LinC | 05/12/19 11.09

La questione principale che attenta all’equilibrio e allo sviluppo del settore orafo-gioielliero, da un punto di vista di competenze e di formazione, ha a che fare in primis con un profondo gap generazionale.
Una mancanza che non è legata alla figura professionale in sé, ma al ricambio e al ‘passaggio di consegne’ dal maestro orafo senior ai profili di nuova generazione. Un punto questo determinante, che potrebbe compromettere la sostenibilità dell’intero sistema produttivo del gioiello italiano alto di gamma. Ma partiamo dai numeri, che in questo contesto sono molto esplicativi per aiutare a comprendere e a chiarire la situazione del comparto dei distretti orafi italiani, a cominciare da quello valenzano. Di recente è stato infatti calcolato che nella sola Valenza ci sono più artigiani orafi che in tutta la Francia: 8.000 contro 5.000. Numeri apparentemente rassicuranti, ma che in realtà non lo sono, e vediamo perché.
Secondo la Fondazione Mani Intelligenti, fondata a Valenza nel 2018 da aziende leader del settore, le 70 grandi imprese valenzane del comparto orafo contano oltre 2.200 addetti, con un’età media superiore ai 46 anni e una presenza di under 30 inferiore al 7%. Numeri che non lasciano indifferenti e che confermano quanto la ricerca di nuovi talenti sia quindi indispensabile per sostenere una crescita del mercato, e motivo per cui, la neonata Fondazione, ha iniziato a ripensare al meccanismo e al modello di formazione. Un impegno concreto nella ricerca delle nuove generazioni di maestri orafi, in grado di portare avanti non solo la tradizione, ma anche di sostenere il comparto produttivo in termini di innovazione e qualità. «Da qui ai prossimi 4/5 anni abbiamo una prospettiva di circa il 40-50% di forza lavoro in meno», ci ha dichiarato Alessia Crivelli, Presidente della Fondazione Mani Intelligenti. «Il nostro obiettivo, che definirei anche ambizione, è traducibile in un numero chiaro e immediato: 1000 giovani talenti da ricercare, formare e inserire in azienda entro i prossimi tre anni. E per farlo, abbiamo bisogno di fare sistema con il territorio, con le aziende del distretto, perché per dare valore a un gioiello bisogna innanzitutto dare valore alla persona». Sia che si tratti di micro fusione o di un semilavorato, ciò che rende unico un pezzo, e ciò che lo fa realmente funzionare, sarà sempre il tocco della mano delll’uomo, perché la macchina non potrà mai dare l’indosso reale di un anello. La diminuzione dei livelli di occupazione del distretto valenzano, abbinata dunque all’invecchiamento dell’attuale capacità produttiva artigianale e alla crescita del mercato globale del gioiello, diventa quindi uno stimolo fondamentale per ripensare al ruolo del professionista artigiano del gioiello.
Un concetto di artigiano allargato, che va al di là del perimetro e della dimensione alla quale siamo sempre stati abituati a concepirlo, allargandosi a una logica di mestiere in grado di fondere l’alta manualità alla tecnologia.