A livello nazionale la previsione netta sull’occupazione si ferma al +1%, confermando il trend negativo rispetto alla serie storica: le previsioni di assunzione, infatti, diminuiscono del 3% rispetto al trimestre precedente e del 2% rispetto allo stesso periodo del 2019.
Ancora una volta, spicca drammaticamente la differenza regionale. Alla domanda «Rispetto al trimestre in corso, quali cambiamenti in termini di occupazione totale prevedete nella vostra azienda entro la fine di marzo 2020?», infatti, gli imprenditori rispondono in maniera sensibilmente diversa a seconda all’area geografica di appartenenza. Nel Nord Ovest e nel Nord Est si attendono buone prospettive di crescita dell’occupazione, rispettivamente del +6% e +5%. Molto meno confortanti i dati dell’Italia centrale, con un modesto +1%, ma a destare preoccupazione è senza dubbio il -11% del Sud e delle Isole. Territori, questi ultimi, che più hanno risentito del calo anche rispetto al trimestre precedente (-19%) e allo stesso periodo dello scorso anno (-17%). Insomma, ancora una volta: Paese che vai, occupazione che trovi. Peccato però che il Paese dovrebbe essere uno solo: l’Italia, appunto.
Ma le differenze non si fermano qui. Lo studio ha coinvolto quattro dimensioni aziendali: le micro-aziende, con meno di 10 dipendenti, le piccole aziende, che contano tra i 10 e i 49 dipendenti, le medie aziende, comprese tra i 50 e i 249 dipendenti e le grandi aziende che hanno 250 o più dipendenti. È emerso che a investire di più sull’occupazione saranno proprio queste ultime, con un confortante + 18%, seguite dalle medie imprese (+12%). Fanalino di coda, con un leggero incremento dell’1%, saranno le piccole e le micro-imprese. Ma attenzione, rispetto al trimestre precedente, le intenzioni di assunzione peggiorano per tutte e quattro le categorie aziendali con le piccole aziende che riportano il calo più significativo, pari a – 7 punti percentuali.
E quali saranno le posizioni più ricercate? Secondo l’indagine, si rileveranno incrementi significativi nel settore pubblico e nel sociale (+6%), nell’hotellerie e nella ristorazione (+2%). I mercati del lavoro più deboli saranno, invece, quelli dell’agricoltura, della caccia, della selvicoltura, della pesca, dei trasporti e delle comunicazioni, dove la previsione netta sull’occupazione si attesta al -3%. Previsioni negative (-2%) sono segnalate anche per il settore finanziario, assicurativo, immobiliare, servizi alle imprese e per il settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio. Rispetto all’ultimo trimestre del 2019, le prospettive peggiorano soprattutto nel manifatturiero, con -6 punti percentuali. Lo stesso settore fa registrare anche il -11% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Tra i profili emergenti, si segnalano invece: programmatori Java, esperti di Industria 4.0, programmatori software e progettisti PLC.
Ma se questa è la situazione «in house», cosa succede all’estero? ManpowerGroup ha rivolto la stessa domanda a oltre 58.000 datori di lavoro in 43 Paesi e territori. È emerso che per il primo trimestre del 2020 i datori di lavoro si aspettano aumenti del numero di dipendenti in 42 dei 43 Paesi e territori coinvolti nell’indagine. In particolare, vantano le migliori prospettive di assunzione la Grecia, il Giappone, Taiwan, gli Stati Uniti e la Romania, mentre i piani di assunzione più cauti sono previsti a Panama, in Argentina, in Costa Rica, in Spagna e, ça va sans dire, in Italia.
Uno scenario che Riccardo Barberis, CEO ManpowerGroup Italia, commenta così: «Le previsioni del MEOS per il primo trimestre 2020 sono in linea con i trend attuali. Nel corso del 2019 abbiamo assistito a un lieve incremento nei vari settori e nelle differenti regioni; questo riflette una nuova propensione da parte dei datori di lavoro nell’implementazione di strategie innovative per rafforzare il tessuto della propria comunità aziendale. Poiché la domanda di talenti in Italia aumenta – rileva quindi Barberis – i datori di lavoro devono massimizzare efficacemente le loro strategie aziendali per attrarre le migliori risorse. Considerato che, solo cinque anni fa, molte delle posizioni di cui abbiamo bisogno oggi non esistevano ancora, investire nelle nuove competenze è sicuramente un elemento chiave per aumentare la crescita della produttività in Italia».