Uno dei temi più ricorrenti quando si discute di lavoro riguarda la cosiddetta “settimana corta“, vale a dire un’ideale settimana lavorativa composta da quattro giorni, che quindi si chiuderebbe il giovedì pomeriggio piuttosto che il venerdì. Per dimostrare quanto questo argomento sia rilevante, basta tornare con la mente a pochi giorni fa, al piccolo caso mediatico scoppiato in Europa in merito alla presunta volontà, da parte della giovane premier finlandese Sanna Marin, di inserire un’istruttoria della settimana corta nella sua agenda di governo – una notizia rilanciata da tantissime testate europee e poi rivelatasi inesatta.
Al di là dell’errore giornalistico, il caso finlandese ha riacceso i riflettori sulla questione, poche settimane dopo che erano stati diffusi gli esiti di un esperimento di Microsoft Japan: la filiale nipponica dell’azienda di Bill Gates ha istituito la settimana corta e ha aumentato la produttività del 40%. Secondo le impressioni raccolte dal New York Times e dal Guardian, tra le altre testate, questa crescita delle performance lavorative è riconducibile ai vantaggi che la settimana corta garantisce ai dipendenti: riduzione dello stress, aumento della sensazione di tutela e di coinvolgimento nelle strategie aziendali, riflessi più pronti durante le ore d’ufficio. Oltre a questi benefici, l’esperimento di Microsoft Japan ha fatto registrare una diminuzione del 25% delle pause durante l’orario di lavoro, ha abbassato del 25% il consumo di elettricità negli uffici, ha ridotto addirittura del 59% il numero dei fogli stampati dai dipendenti. Anche la natura, dunque, potrebbe trarre giovamento della settimana corta.
Il progetto di Microsoft Japan, però, è stato fondato sull’esasperazione del concetto di settimana corta: le ore lavorative del venerdì non sono state redistribuite per gli altri giorni della settimana, ma sono state completamente cancellate. È per questo che l’esperimento è riuscito così bene, quando invece l’idea “classica” della settimana corta prevede un aumento delle ore giornaliere di lavoro (da otto a dieci) in cambio di un’intera giornata di riposo in più. In base a questo format, alcuni studi evidenziano delle possibili ripercussioni negative: un possibile calo della concentrazione dopo un certo numero di ore passate sul posto di lavoro, per esempio; un altro aspetto sfavorevole potrebbe essere legato ad alcune tipologie di impiego, quelle che richiedono un tempo non negoziabile, magari spalmato su più giorni, e che quindi dovrebbero pagare come straordinari un eventuale – ma a quel punto inevitabile – venerdì lavorativo.
Da qualunque lato la si guardi, dunque, la settimana corta rappresenterebbe un cambiamento radicale per le abitudini della nostra generazione. La sfida è proprio questa: capire come far aderire questa possibile rivoluzione al talento di ognuno di noi, al nostro modo di vivere il lavoro e la cultura del lavoro. Gli equilibri tra impegni e vita privata sono estremamente personali e delicati, dall’altra parte ci sono le aziende, che devono ragionare in termini di produttività, di analisi costi/benefici, di obiettivi a breve, medio e lungo termine. Gli esiti degli esperimenti hanno fatto luce su alcuni aspetti, ma non hanno partorito una certezza definitiva: una trasformazione così grande andrebbe impostata e giudicata caso per caso, come abbiamo visto ogni contesto la assorbirebbe e reagirebbe in modo diverso, del resto l’obiettivo deve essere la crescita personale e lavorativa, è un discorso che vale per tutti gli attori, e che è perseguibile solo con i tentativi, il dialogo, con la condivisione dei propri disagi, delle proprie necessità.
Ancora una volta: “Fate Presto”
Sono stati mesi carichi di speranze, spesso tramutatesi in amarezze, se non in drammatiche delusioni. Dall’esplosione della pandemia e da quando siamo precipitati nel lockdown, abbiamo perso il conto...