Il più grande contagio contemporaneo è quello della paura. L’ultima, almeno stando ai sondaggi, riguarda il lavoro e, in particolare, l’arrivo dei robot al posto degli esseri umani. Secondo l’ultimo rapporto Censis-Eudaimon sul benessere aziendale, infatti, ben 7 milioni di lavoratori italiani hanno paura di perdere il proprio posto a causa dell’arrivo delle nuove tecnologie: dai robot all’intelligenza artificiale. In particolare, quasi un operaio su due vede il proprio lavoro a rischio.
L’85 per cento dei dipendenti esprime forte preoccupazione per l’impatto della tecnologia e del digitale sulla propria vita lavorativa, dato che sfiora il 90 per cento tra gli operai, perché le mansioni più dure potrebbero essere più soggette a sostituzione da parte delle macchine. Il che non significa che non ci sarà bisogno di nuovi specialisti per gestirle, ma saranno richieste nuove skills.
Più che per il cambiamento del lavoro, dunque, la paura riguarda probabilmente la diminuzione dei posti, anche perché la transizione verso il nuovo mondo sembra lunga e irta di ostacoli da superare. In ogni caso, 7 milioni di lavoratori italiani si sente a rischio e questo diventa ovviamente un malessere sociale e di conseguenza politico da gestire sia per le aziende sia per le istituzioni. Anche i salari subiscono una simile influenza. Fatto 100 lo stipendio medio italiano, nei settori tecnologici il valore sale a 184.1, mentre negli altri comparti scende a 93.5. “Sono i numeri di una disuguaglianza salariale in atto nelle aziende, che convive con le paure dei lavoratori e certifica l’esistenza di un gap tra chi oggi lavora con le nuove tecnologie e chi no”, certifica il rapporto. Un terzo degli intervistati, inoltre, non vede nessun miglioramento nelle condizioni di lavoro, e poco meno non ritiene che la sicurezza faccia dei passi avanti. Per la metà, i ritmi in azienda non possono che peggiorare e per il 43 per cento gli orari aumentare.
Peccato perché, rileva ancora il Censis, il welfare aziendale può mitigare le disuguaglianze, e per due lavoratori su tre che ne beneficiano il 66 per cento sortisce buoni effetti. Si tratta ovviamente di realtà all’avanguardia, ma le buone pratiche possono diffondersi in fretta. Nonostante questo, solo la metà dei lavoratori per ora è convinto che questi strumenti possano migliorare il proprio benessere in azienda.