Ancora non lo abbiamo messo a fuoco, ma il 9 marzo è stato l’inizio di un’accelerazione della trasformazione digitale senza precedenti. Nella sua tragicità, insieme alla quarantena, Covid-19 ci ha imposto passi da gigante per colmare il digital-divide delle infrastrutture e delle competenze. In appena un mese la domanda per di banda larga è esplosa, siamo dovuti diventare tutti esperti di lavoro remoto, piattaforme di meeting e collaborazione, tutor scolastici e adepti di e-commerce. Anche il nostro modo di utilizzare Internet è cambiato. In poche settimane gli utenti di Zoom sono aumentati del 350%, di Google Classroom del 150% mentre per app fino a poco tempo fa marginali come Houseparty sono triplicati, secondo le rilevazioni di Apptopia. Il traffico mobile è diminuito per la prima volta nell’ultimo decennio a favore di altri apparecchi. L’appuntamento giornaliero non è più il telegiornale della sera, ma una conferenza stampa in streaming con dati e di curve epidemiologiche. I siti dei media tradizionali sono tornati ad attrarre utenti, in cerca di voci autorevoli su una realtà in evoluzione continua. È stata una marcia forzata e, a tratti stressante, ma ci ha condotti in un mondo nuovo. E, ci piaccia o no, dobbiamo capire in fretta come viverci al meglio sia su un piano professionale che personale perché, come ha spiegato il filosofo del digitale Luciano Floridi, la nostra vita è diventata irrimediabilmente “onlife”. Assistiamo cioè a una fusione tra la nostra presenza digitale (una volta lo chiamavamo “virtuale”) e fisica. In quarantena, senza connessione, non esistono più relazioni. Ma soprattutto, la riapertura e la ripresa che tutti auspichiamo, saranno punteggiate per molto tempo (perché forse non avremo un vaccino prima della primavera 2021) da misure di distanziamento, monitoraggio dei dati e tracciamento digitale che ridisegnaranno il lavoro, sempre più un mix di remoto e in presenza, ma anche la nostra privacy e le nostre libertà. L’onlife diventerà perciò una dimensione di massa e non un luogo delle élite. La sfida, abbiamo già cominciato a capirlo, non è solo padroneggiare dati e digitale, ma sapere conciliare hard e soft-skills, vita professionale e personale, sempre più sovrapposte e imbottigliate nei nostri device. Ad alcuni questa transizione può far paura, ma ci sono anche vantaggi. La domanda sociale di competenze digitali diventerà più trasversale e allargata, i servizi digitali di aziende e amministrazioni una priorità non più rimandabile e le relazioni avranno un valore che forse impareremo ad apprezzare meglio.
L’organizzazione agile di Banca Generali
Banca Generali nasce all’inizio degli anni Duemila come banca telematica, prima di virare con decisione nel 2005 verso il mondo del private banking e del wealth management. Il suo modello di business...