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I podcast conquistano anche le aziende

Scritto da Claudio Plazzotta | 26/04/20 10.12

Di colpo l’emergenza Coronavirus ha fatto scoprire alle imprese e alla forza lavoro le possibilità, i vantaggi e pure le debolezze del cosiddetto smart working. Al momento ci sono 2,2 milioni di dipendenti delle aziende italiane che stanno lavorando da casa, rappresentando il 17,2% della forza lavoro complessiva in organico delle imprese: una percentuale impensabile fino a pochi mesi fa, quando, secondo le statistiche di Eurostat, la quota di smart workers in Italia era pari al 2,2%.

Lo chiamano smart working (lavoro agile e intelligente), ma, come emerge da una ricerca condotta dalla Fondazione studi consulenti del lavoro, “affievolitosi l’entusiasmo iniziale, lo smart working si è presto concretizzato, almeno per le aziende che non avevano avviato prima sperimentazioni e progetti in tal senso, in una vasta e un po’ improvvisata esperienza di home working su larga scala, che con il passare del tempo sta dimostrando molti limiti attuativi. Il permanere poi di un atteggiamento di diffidenza verso lo strumento da parte di larghi segmenti del tessuto imprenditoriale (79,3%) contribuisce a limitarne la diffusione anche in una fase emergenziale come l’attuale. Molte delle aziende che si sono trovate da un giorno all’altro a dover organizzare e gestire il lavoro da casa hanno bypassato tutti quei percorsi di progettazione, sperimentazione, comunicazione, sensibilizzazione, formazione, monitoraggio, che caratterizzano generalmente le fasi di avvio dello smart working, come modello organizzativo, nelle realtà aziendali. Senza considerare poi l’investimento che questo richiede in termini di infrastrutture tecnologiche, dalla sicurezza delle reti alla disponibilità di pc e altri device per far lavorare i dipendenti da casa: anche in questo caso la velocità imposta dai tempi emergenziali ha portato a soluzioni spesso affrettate o improvvisate”.

Di sicuro, però, pur tra mille limitazioni e ostacoli, lo smart working sta comunque costringendo aziende a lavoratori a ripensare, innovare e modernizzare le proprie modalità operative. Video call, webinar, piattaforme di meeting on line tipo Zoom (con tutti i limiti di protezione dei dati e privacy). E pure il podcasting. Che potrebbe rivelarsi come la modalità più semplice e sicura per programmi sia di formazione sia motivazionali da remoto.  

Il podcasting in Italia sta decollando, con oltre dieci milioni di persone che nel 2019 hanno ascoltato almeno un podcast e una previsione PwC che spinge il dato a 28,1 milioni mensili nel 2023. Le piattaforme più utilizzate per scaricare contenuti in podcast sono iTunes, Spotify, Spreaker, Audible, Storytel, Querty, Stitcher, Youtube, Audiocast, Freerumble, Soundcloud, Piano P (podcast giornalistici).

E in genere il download è gratuito, per un business finanziato quasi esclusivamente dalla pubblicità (la raccolta advertising è stata pari a 14,5 milioni di dollari nel 2018 e, secondo le stime PwC, salirà a 73,7 milioni nel 2023). In generale, il pubblico che accede ai contenuti in podcasting è molto istruito, gli uomini ascoltano preferibilmente prodotti dedicati allo sport e al business, le donne scelgono entertainment e storytelling.

Le aziende stanno iniziando solo ora a scoprire questa piattaforma come interessante modalità per la comunicazione interna ed esterna. E l’esigenza di lavorare molto più di prima da remoto potrebbe dare la spinta decisiva. Lo conferma Manuela Ronchi, ceo & founder di Action Media Ltd, società italiana con sede a Londra, fondata insieme a Raffaele Tovazzi, filosofo esecutivo e podcaster, e tra le più attive nel podcasting per imprese: “Quattro anni fa abbiamo intercettato la macrotendenza: una sorta di overdose da video, più voglia di audio, di voce, e l’arrivo nelle case degli smart speaker. Quindi abbiamo individuato la forma del podcast, con contenuti nativi pensati per quel mezzo, e non solo semplicemente riversati in voce come per un audiolibro o per una trasmissione radiofonica. Il Traincast in podcasting con una micro-frammentazione di contenuti elargiti in pillole quotidiane., va detto, era una possibilità molto conveniente per le imprese e per tutto l’ambiente anche prima della emergenza sanitaria: è una pratica molto sostenibile, evita inutili spostamenti fisici, sostituisce full immersion di 4 giorni, da otto ore al giorno, in cui buona parte dell’uditorio pensa ad altro, magari all’accumulo di lavoro arretrato che poi lo aspetta quando rientra in ufficio”.

Con la formazione e le relazioni tramite podcasting, invece, ogni giorno arriva un solo pensiero, da mettere subito in pratica, per vedere il risultato, il cambiamento virtuoso, passo passo. Può essere il buongiorno dell’amministratore delegato, ogni mattina. O un traing motivazionale per la rete vendita. O un corso di formazione. Per esempio, per Cartier Italia la società Action Media Ltd ha sviluppato un progetto di TrainCast “per la formazione interna dei dipendenti di uffici e boutique e degli agenti. Attraverso il podcast sono state comunicate tutte le referenze e il posizionamento del brand, che è stato raccontato anche attraverso aneddoti e testimonial. Una apposita rubrica, inoltre, ha veicolato informazioni e curiosità sugli eventi di Cartier nel mondo. Abbiamo sviluppato progetti analoghi per Alianz, Pomellato. E, ribadisco”, aggiunge Ronchi, “il mezzo podcast, che è poco oneroso, non deve essere usato solo ora, causa emergenza Covid-19, ma per abitudine. Non è che con il podcast uno debba sostituire tutto. Si sostituisce solo tutto quello per il quale non è indispensabile incontrarsi fisicamente. E, vi assicuro, in un anno sono tante le occasioni”.

Spesso non serve un doppiatore professionale, può andare meglio il capo azienda, il capo area, più credibile nel trasferire informazioni. “Il podcast, peraltro”, conclude Ronchi, “può risolvere i problemi dei webinar, delle videocall, delle piattaforme alla Zoom dove spesso (e ne sappiamo qualcosa in queste settimane, ndr) non si capisce niente, c’è confusione, rumore di fondo, voce che va e che viene. Perché c’è una certa differenza tra l’essere semplicemente connessi e l’essere, invece, collegati”.