“Di solito preparo le lezioni di notte, perché di giorno è più complicato con un figlio di dieci mesi. Anche se fra registro elettronico e compiti da correggere, finisci che sei sempre connesso a qualsiasi ora del giorno”. Valentina ha 33 anni ed è insegnante in una scuola elementare. In queste settimane di quarantena si destreggia fra la didattica a distanza, la cura della casa e quella del suo bambino. “Le famiglie sono nel caos completo e noi docenti dobbiamo inventarci modi per coinvolgere gli studenti, che soprattutto da piccoli hanno un gran bisogno della relazione per apprendere. Cerco di dare massima disponibilità, quindi spesso mi trovo ad allattare Ludovico mentre sto al computer sul letto. Sono stremata, non ricordo il tempo di dormire 6 ore consecutive. Il mio compagno? Va ancora in azienda e per noi fa la spesa. L’unico giorno in cui è stato a casa lo hanno subissato di chiamate e la gestione degli spazi è stata impossibile”.
Insomma, sono soprattutto le donne a fare fatica in questo periodo. Lo conferma la ricerca #iolavorodacasa di Valore D, l’associazione di imprese che da dieci anni è impegnata a promuovere la parità di genere nel mondo aziendale. L’emergenza da coronavirus che ha imposto la chiusura delle scuole e invitato le aziende ad adottare modalità di lavoro agile ha costretto tutti a fare i conti con una complicata gestione dei tempi e degli spazi domestici. I salotti sono diventati il fulcro del nuovo co-working, fra le lezioni a distanza dei figli e le riunioni con i colleghi su Zoom dei mariti. Il risultato? Una donna su tre lavora più di prima senza riuscire a tenere separati il tempo dedicato alla casa e il tempo dedicato al lavoro.
Questo perché è difficile trovare uno spazio adatto per lavorare se tutti sono a casa e nello stesso momento districarsi fra attività domestiche varie. Trovare l’isolamento necessario per una chiamata di lavoro è quasi una chimera, e in più ci sono i pasti da preparare (perché non c’è più la mensa della scuola) e le solite lavatrici. Certo, i freelance sanno bene cosa significa lavorare da casa, ma in condizioni normali non c’è nessuno che li interrompa di continuo e l’unico computer connesso alla rete di casa, ora sovraffollata, è il loro. Schemi dunque saltati, se si considera poi che la maggior parte della gestione famigliare continua a spettare in gran parte alle donne. “La ricerca conferma che sono soprattutto le donne a dover provvedere alle cure di tutta la famiglia e, soprattutto in questa situazione di emergenza, fanno fatica a conciliare la vita professionale con quella personale – spiega Barbara Falcomer, direttrice generale di Valore D –. Sarebbe invece auspicabile che proprio momenti di crisi come questi potessero aiutare a sviluppare una maggiore corresponsabilità genitoriale che alleggerisca la donna dal duplice carico famigliare e professionale”.
Poi ci sono anche i casi di chi, già in tempi non emergenziali, è riuscito a organizzare la propria vita e il proprio lavoro in modalità smart trovando un buon compromesso. “Devo dire che nel mio caso il sostegno e il supporto concreto della mia famiglia, a partire da mio marito, è stato fondamentale”, ci spiega Daniela Caputo, Head of Marketing and Communications ManpowerGroup Italia, che vive a Bari ma ha sempre ricoperto ruoli che l’hanno portata a lavorare fuori e che da anni guida il team Marketing (dove ora sono tutti in smart working) con un mix tra remote management, meeting presso l’headquarter di Milano e viaggi in giro per l’Italia. “Certo non è facile raggiungere un equilibrio familiare e lavorativo e la verità è che ci vuole tempo e collaborazione vera. Gestire contemporaneamente una direzione marketing, un team di lavoro in Italia e all’estero e avere un ruolo in famiglia comporta un grande impegno, ma se i sacrifici si fanno in due tutto diventa più raggiungibile”.
Insomma i lati positivi dello smart working se ben organizzato possono essere molti, e si vedono anche in questo momento. Oltre alla riduzione dell’inquinamento atmosferico e alla trasformazione digitale di parecchie imprese, sempre dalla ricerca di Valore D emerge un plauso quasi unanime alle aziende, che si sono mosse tempestivamente sia per fornire strumenti tecnologici per le nuove modalità di lavoro sia per mantenere vive le relazioni tra i team. Quasi tutti gli intervistati raccontano di mail e chiamate di incoraggiamento, tanti perfino di pause caffè virtuali e video call tra colleghi per alleggerire insieme l’atmosfera un po’ surreale.
Una tensione che inevitabilmente va a intaccare la tenuta emotiva di molte persone. Sebbene il 60% delle donne dica di guardare al futuro con sentimenti “postivi e di rinnovamento”, un’altra grande fetta (il restante 40%) sta infatti vivendo questo periodo con “ansia, rabbia e confusione”. Sono soprattutto le millenials a soffrirne: solo una su dieci delle under 30 sposa la parola d’ordine del momento, la resilienza, cioè la capacità di affrontare e superare le attuali difficoltà, di cui invece si sente forte quasi la metà delle ultraquarantenni. In compenso, la speranza verso un domani migliore è il sentimento che pare accumunare le donne di ogni età.
Ed è proprio questo pizzico di ottimismo, secondo il report, a spingere già molti a programmare il futuro. Si comincia a predisporsi alla ripresa occupandosi, dicono gli intervistati, “di ciò che abbiamo trascurato”. Una riflessione che include anche lo smart working: l’85% dei rispondenti di Valore D si augura che possa rivelarsi una fruttuosa abitudine anche una volta finita l’emergenza. Perché lo smart working, di per sé, anche se spesso è confuso con il telelavoro, non è né buono né cattivo. Oggi è un obbligo necessario, ma quando sarà possibile tornare alla normalità, allora si potranno ripensare modalità e tempi con cui può essere adottato, sia a livello aziendale sia a livello individuale. Con uno sforzo in più, però, per evitare differenze di genere.