La giornalista americana Amy Westervelt nel suo libro “Dimentica di avere tutto” scrive: “Ci aspettiamo che le donne madri lavorino come se non avessero figli e crescano i loro bambini come se non lavorassero”. Ed è così in tutto il mondo. Alcuni datori di lavoro, qualche collega e a volte persino la famiglia, con le loro scelte e le loro parole, rischiano di creare forti pressioni sulle donne madri. Sono pressioni che si tramutano in aspettative e diventano i motivi per cui alcune lavoratrici provano forti sensi di colpa e non si sentono di fare abbastanza né sul lavoro, né a casa.
Il risultato pratico di queste pressioni lo si vede per esempio quando le donne in maternità tornano al lavoro prima di essere emotivamente o fisicamente pronte. Alcune giustificano questa scelta con la scusa dello stipendio, ma la verità è che in certi casi sono spinte proprio da quei sensi di colpa che fanno percepire lo stare a casa a curare il proprio figlio appena nato come qualcosa di sbagliato, come se fosse una scelta da scansafatiche. E viceversa, quelle pressioni possono anche diventare il motivo per cui alcune madri lasciano il posto di lavoro, e scelgono solo di dedicarsi ai propri figli, che se non condizionata da sensi di colpa, può essere una scelta legittima.
Nonostante molti studi confermino che diventare madri dia più competenze e aumenti la produttività, la cultura del senso di colpa non è ancora superata. Quando si parla di famiglia, le mamme lavoratrici si sentono colpevoli di un’infinità di cose: di non essere a casa a preparare il pranzo ai figli, o di non poterli portare agli sport. Di non riuscire a partecipare alla riunione di classe, né di avere tempo per fare la recita di Natale. Ma il New York Times, in un articolo dedicato alle madri, riporta una ricerca del 2015 condotta da Kathleen McGinn, un’economista di Harvard, che ha scoperto che i figli delle madri lavoratrici hanno più possibilità di raggiungere risultati più alti rispetto a quelli delle madri che stanno a casa e che i figli delle madri che lavorano sono più collaborativi nella partecipazione alle faccende domestiche. Sempre la McGinn, con questi studi ha determinato che alla fine i figli finiscono per essere felici come lo sarebbero stati se le loro mamme fossero state a casa con loro e quindi, in questo caso, il senso di colpa non ha senso di esistere.
Ma non sono solo i sensi di colpa a frenare le carriere delle madri. I sociologi inglesi lo chiamano “motherhood penality” che tradotto significa “lo svantaggio della maternità”, e sempre il New York Times riporta che è un termine usato per descrivere gli svantaggi che le madri affrontano sul lavoro rispetto ai loro colleghi senza figli. Primo tra tutti, a viene spesso offerto uno stipendio di partenza più basso. Per contrastare questa ingiustizia bisogna cambiare le logiche culturali nel mondo di lavoro. Ci sono alcune cose che si possono fare, per esempio spingere il datore di lavoro a dare più flessibilità a tutti i suoi dipendenti: le ricerche dicono che la flessibilità rende i lavoratori più felici e soddisfatti. Al datore non convinto, si può anche proporre un periodo di prova in cui verificare sul campo gli effetti di orari più flessibili, o dello smart working. E decidere in seguito se e come applicare queste nuove pratiche.
Un altro problema ricorrente è che molte madri si trovano a lasciare il lavoro perché i costi di una babysitter o dell’asilo nido sono troppo alti rispetto alle entrate e, facendo i conti, a loro conviene restare a casa e dedicarsi solo ai figli. Ancora a oggi, non in tutte le regioni d’Italia c’è l’opzione dei nidi gratis o della riduzione della retta, politiche che quando sono assenti tolgono molte possibilità alle famiglie.
Sempre il New York Times riporta un consiglio di Ashley Feinstein Gerstley, autrice del libro “The 30-Day Money Cleanse”. Secondo lei quando le donne riescono a risparmiare tre mesi di stipendio, “si sentono più al sicuro nell’assumere rischi sul lavoro e offrirsi per progetti di alto profilo”, cosa che spesso nessuno in ufficio si aspetta da una mamma. Anche questa strategia potrebbe essere utilizzata per arginare “lo svantaggio della maternità”, bisognerebbe provare, e vedere se funziona davvero.