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Cos’è il coviding e cosa significa nell’ecosistema startup

Scritto da Redazione di LinC | 10/06/20 11.30

C’è chi usa il termine coviding per indicare il lavoro frenetico del programmatore al tempo della Covid 19, immaginando che la parola sia un’estensione del classico coding. Altri intendono coviding in senso più allargato, come un passarsi il tempo (o piuttosto un reagire, emotivamente e fisicamente) nelle settimane di quarantena collettiva o di distanziamento fisico tra le persone. “Come va il tuo coviding?” “Tutto bene, grazie, mi sto rimettendo in pari con le serie tv e ho imparato a fare la pizza”.

Se poi dalla dimensione individuale passiamo a quella delle grandi multinazionali, delle istituzioni e dei partiti politici, coviding significa qualcosa di simile, ma in italiano potrebbe essere reso con espressioni quali ‘adattamento’, ‘resilienza’ o ‘reagire proattivamente’ all’emergenza coronavirus. E sul versante pop c’è chi ha chiamato coviding una playlist per andare a far la spesa al supermercato (sottotitolo: distanziati, ma insieme), oppure lo ha proposto come servizio informativo sul virus Sars-Cov-2, giocando sull’assonanza coviding/providing information.

Per le startup il coviding è una cosa seria

Accantonate le questioni lessicali e semantiche, esiste un ambito in cui la parola coviding assume un valore pregnante e fondamentale: l’innovazione. E per il mondo start up, che fa dell’agilità e dell’inventiva i propri canoni fondanti, l’emergenza sanitaria può incorporare paradossalmente anche un significato non solo negativo, nella misura in cui diventa il motore e l’innesco di una spinta propulsiva verso nuovi modi di intendere prodotti, servizi e tecnologie.

Tutti ormai siamo consapevoli che la pandemia ci porterà in futuro a vivere in un mondo diverso da quello a cui siamo sempre stati abituati. Non solo nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, ma anche a emergenza finita e quando avremo – si spera – un vaccino a disposizione. Servono quindi innovazioni immediate, che ci consentano di affrontare al meglio le difficoltà contingenti, ma anche soluzioni di lungo corso, adatte a quello che ci siamo abituando a chiamare il nuovo mondo.

Ed è da questo concetto che possiamo mutuare l’ultima possibile indicazione etimologica sulla parola coviding. Per le imprese innovative il concetto di disruption (di discontinuità e rottura con il passato) può essere reso anche con il termine un po’ meno usato in Italia di pivoting, traducibile grossomodo come punto di svolta. Unire il concetto di pivoting con il virus Sars-Cov-2 non è solo un trucco semantico, ma sottintende almeno due prese di coscienza. Anzitutto, la già citata irreversibilità degli effetti della pandemia, non solo al livello superficiale delle modalità di fruizione dei servizi ma pure nella struttura economica e relazionale della nostra società, fino a toccare l’essenza stessa del nostro essere umani. L’altra consapevolezza necessaria è che questi cambiamenti non saranno guidati – né tantomeno finanziati – dal settore pubblico, dall’establishment o da chissà quali enti benefici, ma dovranno trovare una propria dimensione di sostenibilità economica. Spesso, peraltro, in forme così nuove e diverse dal passato che solo una struttura tipo-start up può pensare di idearle, implementarle e proporle sul mercato in tempi ragionevoli.

Cimentarsi nel coviding all’atto pratico

La prima parola che salta alla mente parlando di nuove opportunità imprenditoriali indotte dal virus è senz’altro digitale. È la verità di La Palice: chiusi in casa, o limitati negli spostamenti, stiamo tutti imparando a fare in digitale molto più di prima. Dagli acquisti alla formazione, dagli incontri lavorativi alla cultura, ormai è stato in gran parte abbattuto il muro di resistenza e di diffidenza che aveva finora impedito – o almeno rallentato – quella vera transizione hi-tech che a conti fatti ci semplifica la vita su molti fronti. Un mercato, dunque, sempre più ampio e pure destinato a non sparire col tempo.

Ma non si tratta solo di fare un’app o di teorizzare sul business ora fiorente delle riunioni in videoconferenza o della spesa a domicilio. La questione vera, e molto più complessa, è individuare soluzioni nuove per interi settori imprenditoriali, comparti operativi e pezzi di vita quotidiana che rischiano di subire la coda lunga della diffusione del contagio.

L’urgenza riguarda naturalmente quelle strategie da mettere in pratica subito per rendere la nuova normalità meno complessa possibile da sopportare. Vale a dire, come proteggere noi stessi e gli altri, come gestire i flussi di persone, come garantire la ripartenza anche a quelle industrie – pensiamo alla macchina dei concerti – che rischiano di restare bloccate a lungo.

E poi c’è tutto il resto, con esempi a non finire. Come possiamo reinventare la fruizione dei luoghi dell’arte e della cultura, i templi dello sport, le piazze e gli uffici pubblici, la scuola o le mense e i ristoranti? In che modo la sanità, i percorsi di formazione, le filiere alimentari e le iniziative di sostenibilità potranno essere modificate per conformarsi alle nuove esigenze? Spesso le risposte vengono cercate nei mondi dei big data, dell’algoritmica e della robotica – che non a caso sono quelli più abitati dalle start up – ma richiedono anzitutto sperimentazione e approcci per tentativi ed errori, nonché intraprendenza.

Il questo senso il coviding non è nemmeno il semplice aprire una startup, ma chiama in causa un intero sistema. Grandi aziende che si fanno aiutare da piccole realtà dinamiche per risolvere i problemi emergenti. Imprese innovative che mettono in condivisione competenze e risorse per costruire modelli di servizio (e di business) ancora inesistenti. Start up del panorama hi-tech che si alleano con settori tipicamente low-tech per offrire i servizi di sempre ma in un formato inedito. Con decine di migliaia di vite spezzate, solo in Italia, nessuno potrà mai parlare di spinta positiva o di effetto benefico. Ma, come per tutti i periodi di crisi, anche l’emergenza sanitaria può fare da stimolo per accendere inventiva e istinto di sopravvivenza, facendo magari nascere nuovi filoni molto prima di quanto sarebbe potuto accadere in un universo parallelo privo di coronavirus.