Natale 2019. Grande e allegra tavolata di parenti, anzi di “congiunti”, che chiacchierano rumorosamente tra tintinnìo di cristalli e di posate buone. Si è ben mangiato e ben bevuto. Immaginate che il solito cugino un po’ strambo e un po’ alticcio cambi argomento e dica “Tanto adesso arriva un virus dalla Cina che, attraverso un serpente o un pipistrello, ha infettato l’uomo. Rimarremo chiusi in casa senza vederci per più di due mesi e l’economia mondiale andrà a gambe all’aria. Buon Natale!”. Povero cugino scemo, ha bevuto troppa grappa.
Eppure neanche quaranta giorni dopo quel pranzo di Natale ci troviamo tutti chiusi in casa e l’economia mondiale è andata a gambe all’aria. Nessuno si ricorda più delle parole del cugino scemo perché erano talmente assurde che non sono state registrate. Lui stesso non si ricorda di aver pensato una cosa del genere. Troppo incredibile, troppo imprevedibile. E troppo terribile. Il Covid-19 è il classico “cigno nero”, l’imprevisto che spunta fuori dal nulla e in pochi giorni sconvolge le nostre vite, il nostro lavoro, i nostri affetti, la nostra economia e il nostro stile di vita. E non è un caso che Il cigno nero di Nassim Nicholas Taleb (Il Saggiatore), uscito nel lontano 2007, torni in classifica con l’irruenza di un classico riscoperto.
Taleb è un filosofo, matematico e operatore di borsa che in questo saggio fondamentalmente ci dice che non siamo pronti, filosoficamente, culturalmente ed economicamente, ad accettare e abbracciare la complessità del caso. Il più delle volte anche vedendo volare sulle nostre teste un cigno nero, penseremmo che è bianco come tutti gli altri. La principale ragione del successo del libro, lo confermo rileggendolo oggi, è che è molto divertente. È corrosivo, a volte irritante, ed è abbastanza vero quello che dicevano i primi freddi recensori del New York Times o del Guardian: dal punto di vista strettamente teorico Taleb è abbastanza superficiale e volutamente evita di dimostrare alcuni dei suoi assunti. Eppure è difficile non lasciarsi incantare dalla semplice verità di una frase come: “Attribuiamo sempre il successo alla nostra abilità e il fallimento a eventi esterni fuori dal nostro controllo”. Insomma noi facciamo tutto bene, è il destino baro, il caso, la sfortuna che ci ha fatto lo sgambetto.
Taleb se la prende soprattutto con gli esperti, con gli analisti finanziari, con tutte quelle persone che sono pagate per dare l’illusione di poter prevedere le oscillazioni del caso. Mentre noi ci perdiamo in miriadi di dettagli insignificanti e frammentari non ci accorgiamo che la storia va avanti senza di noi. E non va avanti in linea retta; avanza a salti imprevedibili, a scossoni. E ogni tanto ci si può fare male. La forza del Cigno nero è nell’abilità affabulatoria di Taleb che, da buon levantino (ha origini libanesi), sa come si racconta una storia. E il segreto per godersi il suo libro è leggerlo come se fosse una favola, più che un saggio. È lui stesso a dichiararsi narratore più che teorico: “Le metafore e le storie sono molto più potenti (ahimé) delle idee, oltre a essere più facili da ricordare”. La lezione del Cigno nero è che dobbiamo disimparare tutto quello che abbiamo imparato, solo così smetteremo “di confondere la mappa con il territorio”, con il vero paesaggio che ci circonda con tutte le sue magnifiche contraddizioni.
Nassim Nicholas Taleb, Il cigno nero, Il Saggiatore, 384 pagine, 13 euro