Ed eccoci dunque nella Fase 3, quella della ripartenza graduale sia delle Imprese che delle persone che le rendono tali, ovvero le Persone (e non solo risorse) che ci lavorano. Alcuni comparti industriali son partiti prima, altri si stanno organizzando per farlo, ed altri ancora stanno aspettando di esser autorizzati a farlo. In queste sottofasi, il dato che appare immediatamente evidente, per le Pmi come per i negozi o le multinazionali è che il lavoro, per un bel po’ di tempo, non sarà più quello di prima. Per via della giusta e doverosa cautela e prevenzione cambieranno i tempi e di conseguenza si dovranno adattare anche i metodi. Produzioni più articolate e necessariamente ridotte, con consegne ed erogazioni di servizi a loro volta rallentate. Attese, disagi e fatica saranno il leit motiv per aziende clienti e fornitori, ma a tutto questo siamo già preparati o, in alcuni casi, solo rassegnati. Ma il lavoratore? ovvero CoLei (poche purtroppo, come sempre) o Colui che tornano a popolare le aziende, gli uffici e gli opifici e i punti vendita, a che tipo di lavoro dovranno prepararsi? Che valore avranno ancora tutte le teorie e le lezioni apprese negli anni sul team building o sulla leadership, sulla vendita proattiva e sulla gestione del cliente? Ma soprattutto con che spirito, animo o predisposizione dovranno rientrare a lavorare in ambienti e con condizioni sostanzialmente diverse da prima? Stiamo parlando, usando una metafora sportiva, di un gran Premio di F1 ( il mercato) interrotto mentre tutti erano in gara, con la Safety (mai nome fu più indicato) car che entra in pista per tre mesi circa e che mette le auto Paesi in coda dietro di sé. Ora che sta per uscire, è il momento della strategia di gara. Se si torna ai box ci vuole gente sveglia per un Pit stop così veloce che non faccia perdere ulteriori posizioni (ci dicono che siamo penultimi in griglia con dietro solo la Grecia) e anche piloti che sappiano guidare, ovvero dei leaders, per tentare di recuperarne più possibile. Il tutto non solo per vincere il Titolo individuale ma anche il Mondiale Marche. Che addestramento serve per raggiungere tali obiettivi? Da anni ormai le Aziende investono (non spendono, ma investono) molto del loro budget formativo nel tentativo di fare della propria Impresa una squadra. Partendo dal management, dove i Coaching sono particolarmente orientati alla gestione delle persone, al controllo delle performances e al raggiungimento dei risultati attraverso la partecipazione di tutte le risorse aziendali (quelle umane cioè i collaboratori e dirigenti e spesso anche gli stakeholders).
I modelli ispirati alla Leadership, allo Spirito di Squadra, dalle strategie alle tattiche ricordano sempre più quelli delle squadre di calcio o di altri sport non individuali. Partendo da questo presupposto, per una volta proviamo a ribaltare la piramide anche qui e a partire da quei ruoli che non vengono notati, celebrati in tv o dai media sportivi. Uno di questi ruoli, apparentemente marginale, è quello del Terzo Portiere nelle squadre di calcio, a cui non mi è ancora capitato di veder dedicato uno Storytelling sportivo o teatrale, o di vederli ritirare un premio particolare per lo Spirito di Squadra che sanno infondere pur non giocando mai e per la professionalità che dimostrano ogni volta che si preparano per un lavoro (partita) che non arriva quasi mai se non per infortuni altrui o scelte forzate. Non mi è mai capitato in anni di partecipazioni a eventi o meetings aziendali di vedere un Terzo Portiere invitato come testimonial sportivo per parlare di sé e della sua dedizione e del suo saper aspettare il momento.
“Il portiere impregna di personalità tutta la squadra” ha detto Dino Zoff, un decano storico dei portieri, ma si riferiva ai portieri che giocano, quelli che entrano in campo o che, al limite, siedono in panchina pronti a subentrare, respirando il profumo dell’erba del campo di calcio. Ma il terzo portiere, quello che spesso, fino a pochi anni fa, non si cambiava nemmeno la domenica, si può dire che sia parte della squadra? Che sia, o si senta, un dipendente piuttosto che un collaboratore, o che, peggio ancora sia o si senta o venga considerato da tutti una risorsa e non una persona che partecipa al risultato finale della società sportiva per cui lavora e da cui – non dimentichiamolo – è comunque stipendiato?
Ecco che oggi questi interrogativi ce li si deve porre per forza quando stiamo per iniziare il secondo tempo di una partita molto difficile dove terzi portieri per un determinato periodo mi sa che lo saremo un po’ tutti. E dovremo, come loro, farci trovare pronti, anche se sui giornali non apparirà nemmeno una riga, e tra i tifosi o i clienti pochi si ricorderanno del Loro/Nostro lavoro. In questa Fase 3 della prima era AC (after Corona), potremmo dover affrontare anche i tempi supplementari e allora avremo bisogno più di terzi portieri preparati, di titolari motivati o di palloni d’oro talentuosi? Questo credo che ce lo dirà solo il campo, ovvero lo sapremo a partita iniziata, quello che possiamo fare ora è farci trovare pronti e allenarci sempre come se dovessimo giocare una finale (anche perché le amichevoli sono finite da tempo), anche se poi magari la vedremo dalla tribuna, e, soprattutto, dovremo affidare le squadre che entreranno in campo ad allenatori (managers e leaders) che riescano a far fruttare il capitale aziendale, senza dubbio, ma che siano soprattutto capaci di valorizzare il Capitale umano a loro disposizione motivando anche i terzi portieri, facendoli sentire dei potenziali palloni d’oro anche se magari stanno già agognando la pensione o il ritiro. Non dimentichiamoci che nella foto del Triplete a Madrid del 22 maggio 2010, il mio amico Paolo Orlandoni, terzo portiere dell’Inter di Mourinho, c’era. E che tanti altri suoi colleghi, secondi o primi portieri affermati, ancora non ci sono stati e continuano ad allenarsi ogni giorno, credendoci, per poterci arrivare prima del triplice fischio o del malaugurato rientro per la nostra economia di un’altra Safety car.