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Caputo: “Personal branding significa fare la differenza”

Scritto da Redazione di LinC | 01/07/20 11.41

Cosa hanno in comune Martin Luther King e il personal branding? A prima vista poco o niente, ma in realtà quella frase che ha fatto la storia – “I have a dream” – ci dice che per capire dove vogliamo andare dobbiamo prima sapere bene chi siamo e quali ragioni ci muovono. In ogni contesto. Anche e soprattutto nel mondo del lavoro, specialmente in quello attuale, dove l’alta competitività rende necessario conoscere e saper esprimere i propri punti di forza con autenticità e convinzione. In gergo, fare personal branding. Che non vuol dire pubblicità, perché costruire un marchio personale richiede un percorso verso la consapevolezza di sé molto più complesso. “Per me significa fare la differenza, ma per riuscirci bisogna essere in grado di innescare un cambiamento avendo innanzitutto chiari i propri obiettivi”, spiega Daniela Caputo, head of Marketing Communications Italy and Eastern Europe di ManpowerGroup Italia, a cui abbiamo chiesto di spiegarci cos’è il personal branding e le regole da seguire per costruirlo in modo efficace.

Perché oggi se ne parla così tanto?
Il concetto di personal branding nasce in realtà dalla fine degli anni Novanta, da quando Tom Peters scrisse che “ciascuno di noi è amministratore delegato dell’azienda chiamata me”. Oggi si è evoluto, così come sono cambiate le aspettative che gli altri hanno nei nostri confronti. Non c’è più attenzione solo a quello che facciamo e come, ma si guarda molto al perché. Il purpose, l’obiettivo, è diventato fondamentale. E fare personal branding oggi è quasi una necessità. Il contesto in cui viviamo cambia infatti molto velocemente e ci impone di rimanere rilevanti quando cerchiamo lavoro o quando lo cambiamo. Tuttavia, per emergere dobbiamo avere bene chiaro qual è la ragione che ci spinge, ovvero chi siamo, cosa vogliamo dire e perché”.

Da dove si parte per costruire il proprio personal branding?
È un percorso a più fasi e la prima è senz’altro la consapevolezza di sé. Il personal branding non è infatti la percezione che io ho di me o quella che gli altri hanno di me. È un mix fra le due: per raggiungere un’immagine autentica di noi stessi dobbiamo lavorare su questo equilibrio. Si tratta di un primo passo fondamentale, perché ci consente poi di avere sia una maggiore fiducia in noi stessi sia un focus chiaro sui nostri obiettivi. È la fase dell’autovalutazione, in cui vanno individuati la nostra visione, il nostro scopo, i nostri valori e le nostre passioni. Per capire invece quale percezione gli altri hanno di noi può essere utile chiedere ad amici, colleghi e familiari di scegliere fra una lista di aggettivi che ci definiscono meglio, ricordandosi di inserire competenze trasversali oggi essenziali per il mercato del lavoro come flessibilità, efficacia comunicativa, tensione all’obiettivo, team work e resilienza”.

Emergere nel mercato del lavoro attuale non è facile. Quali sono i punti da tenere a mente?
Innanzitutto, bisogna ricordarsi che non si deve piacere a tutti. Quando impostiamo il nostro personal branding lo calibriamo su un target preciso, cioè su un numero di persone limitato che potrebbero davvero essere interessate. Questo ci permette di essere autentici e focalizzare l’attenzione. Il target dipende chiaramente dagli obiettivi che ciascuno si pone e può essere rappresentato da aziende, studi professionali, recruiter o risorse umane. Va studiato bene ed è importante capire anche qual è il canale migliore per raggiungerlo, se online o offline per esempio. Un altro punto da non dimenticare sono i competitor: chi sono i nostri possibili concorrenti? Proviamo a capire come si muovono e cosa ci distingue da loro, che è poi il motivo per cui qualcuno dovrebbe scegliere noi e non qualcun altro. Quindi oltre ai titoli e alle competenze tecniche o di ruolo, vanno valorizzati i titoli aggiuntivi, le esperienze all’estero, la conoscenza delle lingue, gli interessi coerenti agli obiettivi professionali e naturalmente le caratteristiche personali che abbiamo individuato per il nostro brand”.

Una volta completato questo percorso, qual è il modo più efficace di comunicarlo agli altri?
“Prima va elaborata la nostra promessa di valore, ovvero il personal brand statement, che riassume quanto illustrato finora. È una frase che ci identifica e che va espressa in modo diverso dagli altri per essere la “mucca viola” di cui scriveva Seth Godin. Attenzione però: non vuol dire che tutto è permesso per attirare l’attenzione, perché abbiamo una reputazione da difendere. Specialmente quando parliamo di web e social network, dove tutto ciò che scriviamo resta online. I messaggi che veicoliamo devono essere chiari, consistenti e costanti: è fondamentale non generare dubbi su chi siamo e cosa vogliamo comunicare per aumentare la riconoscibilità e la credibilità. Infine, bisogna chiedersi: qual è la mia storia? Le tecniche di narrazione oggi sono importantissime, ma è il contenuto a fare la differenza. Nel caso del personal branding, deve includere sempre tre aspetti: chi siamo, cosa abbiamo fatto e cosa possiamo ancora fare. A questo punto siamo pronti per affermarci nel network che abbiamo scelto come riferimento. Ricordandoci però che non sono i like o i follower a stabilire il successo del nostro personal brand, bensì la convinzione del nostro perché”.