Sono stati mesi carichi di speranze, spesso tramutatesi in amarezze, se non in drammatiche delusioni. Dall’esplosione della pandemia e da quando siamo precipitati nel lockdown, abbiamo perso il conto degli interventi varati dal governo a sostegno dell’economia italiana. Dai primi, improntati alla pura gestione dell’emergenza, fino a quelli che avrebbero dovuto permettere al sistema economico di impostare le basi della ripresa.
Sin dall’alba di questo incubo collettivo, sottolineammo un aspetto cruciale e destinato a rivelarsi decisivo: il fattore tempo.
Erano le primissime settimane di blocco e la memoria tornò allo storico titolo de Il Sole 24 Ore: “Fate Presto”, scelto nei drammatici giorni della crisi dei debiti sovrani, nel 2011. Quel Fate Presto, in realtà, riecheggiava il ben più scioccante titolo scelto da Il Mattino di Napoli, poche ore dopo il terrificante terremoto che devastò l’Irpinia il 23 novembre 1980. In entrambi i casi, la sintesi giornalistica esprimeva perfettamente l’ansia del non dover perdere l’attimo, il momento in cui c’è ancora tempo per intervenire, salvare vite o limitare i danni. Purtroppo, quel Fate Presto, ripetuto più volte mentre l’Italia sperimentava l’impensabile, è rimasto lettera morta. Non si è fatto presto, soprattutto non si è fatto bene.
Mesi e mesi di dibattito allucinante e autoreferenziale sull’Europa matrigna e le sue presunte mancanze nei nostri confronti hanno presentato il conto. Proprio nel momento in cui dalla Banca Centrale Europea e da altre istituzioni comunitarie arrivava un fiume di denaro come mai si era visto, l’Italia si è letteralmente incartata nei suoi vecchi vizi. Burocratica e farraginosa fino alle estreme conseguenze, l’azione immaginata dal governo per soccorrere l’economia si è schiantata sulla realtà dei fatti. Si pensi al Decreto Liquidità, con cui non siamo riusciti a erogare nei tempi e nei modi necessari soldi di cui migliaia di imprese hanno un disperato bisogno. Sono state necessarie settimane (settimane!) a SACE e ABI solo per trovare un accordo e varare le linee guida, da trasferire agli operatori. Incagliata sulle garanzie al 90 e al 100%, la liquidità è rimasta troppo spesso sulla carta. Soldi che c’erano, ci sono e ci saranno sempre di più. Grazie esclusivamente all’azione di quell’Europa, che ci siamo divertiti a impallinare in modo incosciente. Più crescevano le nostre responsabilità, più la pubblica opinione si lasciava distrarre – ancora una volta – da uno scontro tanto ideologico quanto inutile. Si pensi al surreale caso del Mes, in cui si è arrivati alla realtà parallela o alla gravissima impreparazione al Next Generation EU. Siamo tanto confusi e così impegnati a guardarci l’ombelico, che le nostre fortune sono ormai completamente in mano alla visione politica della cancelliera tedesca, Angela Merkel. Dobbiamo alla sua capacità strategica e all’onesto coraggio di aver cambiato idea sulla natura degli aiuti europei, se possiamo aggiungere all’opera vitale e meritoria della Bce la prospettiva di un gigantesco aiuto di Bruxelles.
Se non altro per dignità, dovremmo rifiutare anche solo l’idea di presentarci a questa storica trattativa senza proposte credibili e con il cappello in mano. Il tempo per riparare ai nostri ritardi è oggettivamente poco, ma quello che preoccupa è che le idee appaiano ancora più scarse.