Probabilmente bisognerà aspettare il 2235 perché uomini e donne ricevano lo stesso stipendio, a parità di ruolo. E intanto, mentre la quota di donne Ceo nel mondo si ferma a un imbarazzante 6%, un sondaggio internazionale Gallup racconta che il 75% dei lavoratori che abbandonano il proprio posto di lavoro lo fa a causa del proprio superiore diretto. Una coincidenza?
Lo psicologo Tomas Chamorro-Premuzic, docente all’University College di Londra e alla Columbia di New York oltre che Chief Talent Scientist di ManpowerGroup, dice di no. Ma nel suo libro appena tradotto in italiano dal titolo eloquente “Perché tanti uomini incompetenti diventano leader?” (Egea), la risposta va ben oltre il sessismo che abbiamo imparato (forse) a riconoscere. E infatti la questione è più profonda di quanto si possa pensare.
Se da un lato emerge con chiarezza che la discriminazione nei confronti delle donne abbassa il livello di competenza richiesto agli uomini, dall’altro però si capisce come a farne le spese sia la società intera. Gli uomini competenti esistono, e probabilmente anche in numero sufficiente per guidare aziende e governi. Assodato che viviamo in un contesto generalmente sessista, gli uomini talentuosi dovrebbero farcela facilmente visto che sono comunque favoriti. Ma allora perché basta accendere la tv per imbatterci in un leader incompetente?
La verità è che amiamo gli psicopatici narcisisti
Secondo Chamorro-Premuzic due elementi distinti contribuiscono a questo fenomeno controverso. Da una parte c’è il sessismo. Dall’altra una sostanziale e generalizzata incapacità di valutare effettivamente un leader. Citando svariati studi scientifici, l’autore dimostra come gli uomini costituiscano la maggioranza dei leader, sebbene ottengano spesso risultati inferiori rispetto alle donne. Ciò accade perché tendiamo a pensare che caratteristiche come una grande fiducia in sé stessi e il carisma – che negli uomini sono più marcate – siano sinonimo di leadership innata. Invece la verità è che probabilmente amiamo gli psicopatici e i narcisisti. Tratti che dovrebbero “essere interpretati come segnali di pericolo” – spiega lo psicologo argentino – ci spingono invece a dire “Ah che tipo carismatico! Ha la stoffa del leader”. Gli uomini, quindi, arrivano spesso a gradini più alti di un’azienda perché in loro queste caratteristiche si rivelano più di frequente che nelle donne e vengono scambiate per un “potenziale di leadership”. Ecco che le organizzazioni finiscono per scegliere capi per il loro fascino o perché ostentano più sicurezza nelle loro azioni. Ma una volta conquistata la posizione di leader, questi tipi psicologici risultano controproducenti e distruttivi.
Spinte a imitare gli uomini, ma il modello vincente è Angela Merkel
Tutto questo evidenzia il problema dei consigli dati alle donne. Per farsi notare ed emergere, le si esorta a essere determinate, ambiziose e appariscenti. Se vengono percepite come tali, però, ed è il caso per esempio di Hillary Clinton, le donne vengono bollate come fredde, maschili, robotizzate. Quando cioè “presentano tratti maschili stereotipati, sono scartate perché non sono delle vere donne – scrive Chamorro-Premuzic -. Quando presentano tratti femminili stereotipati, sono scartate perché non coincidono con quello che è considerato l’ideale tipo del leader”. Morale, le donne devono essere sempre più qualificate dei concorrenti maschi per competere con gli uomini per gli stessi ruoli. Ma il modello vincente, fa capire l’autore, è quello rappresentato da Angela Merkel: una leader discreta e competente, che senza scandali e troppo clamore guida la quarta economia mondiale da quindici anni. Sono gli imprenditori o i capi di stato capaci, modesti e saggi a fare la differenza e a spingere un’organizzazione a dare il meglio di sé. Come la cancelliera, ma anche anche Mary Barra, amministratrice delegata di General Motors, o Ingvar Kamprad, il fondatore di Ikea. Personalità vincenti che, evitando i riflettori, hanno saputo imprimere un cambiamento positivo a tutta l’organizzazione, diventando un modello per i loro collaboratori, e ad avere successo.
Le donne come rimedio alla cattiva leadership
Nell’epoca in cui il machismo e l’idea dell’uomo solo al comando piacciono ancora molto perché offrono aspettative di guida rassicuranti, la scienza dimostra – e lo psicologo argentino nel libro elenca almeno 45 ricerche – che le donne possono davvero essere un rimedio alla cattiva leadership. Il genere femminile infatti è più efficacemente orientato al cambiamento quando guida un team. Elabora e comunica meglio la propria visione del business, approccia il problem-solving con creatività, tende a essere più oggettivo e leale nel processo di valutazione dei dipendenti. Lo abbiamo visto anche nell’emergenza coronavirus, che secondo numerosi esperti è stata gestita meglio nelle nazioni guidate da donne. Le donne sono in grado di arginare meglio la deriva dei leader incompetenti. Ma come farlo nella pratica, quando sono svantaggiate in partenza dal sistema? Tomas Chamorro-Premuzic mostra che il vero snodo della questione non è tanto la lotta donne contro uomini, bensì riuscire a mettere le persone giuste nella posizione giusta. E a quel punto non ha più importanza che siano uomini o donne. Contano il talento e tutte quelle qualità umane imprescindibili per un buon leader, come l’umiltà, l’empatia, la resilienza.
La soluzione è data-driven
La tesi finale del saggio è che un passo in avanti potrebbe essere garantito dall’adozione di metodi quantitativi per selezionare i vertici. Analisi data-driven, che valutino requisiti misurabili e verificabili (nel libro ne vengono esemplificati sei). Così si potrebbero evitare sia i cortocircuiti innescati dagli stereotipi sia i facili favoritismi con le corsie preferenziali per gli uomini. Perché non è vero che tutte le donne sono migliori a priori: ma è vero che emergono più spesso nelle situazioni in cui sono messe nel contesto di farlo. Il punto vero della questione, conclude Chamorro-Premuzic, è trovare il modo di elevare la qualità dei nostri leader, consapevoli del fatto che “prove convincenti indicano che la probabilità di migliorare la leadership aumenta se ci decidiamo ad attingere più ampiamente al bacino di talento femminile”. Impedendo così agli incapaci di occupare posti di potere, a spese di tutti quanti.