Il posto di lavoro del futuro non deve solo permettere il rispetto del distanziamento e delle regole igieniche. Deve pure essere meglio dello smartworking, invogliare le persone a ripopolare le sedi aziendali e offrire un motivo valido per uscire di casa. È questa la vera sfida – forse ancor più del garantire il famoso metro e mezzo – che designer e arredatori di interni si sono trovati davanti nel 2020. Perché, dopo mesi trascorsi a forza tra le mura di casa, il telelavoro e il digitale hanno dato dimostrazione pure di tutti i loro vantaggi, e difficilmente le persone sono disposte a rinunciarvi come se nulla fosse accaduto.
Un ufficio anfibio
Magari qualcuno preferisce chiamarla ibridazione, ma il concetto è lo stesso: la postazione di lavoro del futuro deve permettere la coesistenza di forme e modalità diverse. Nello specifico, mescolare gli incontri in presenza fisica con quelli mediati dal digitale, consentire attività lavorative svolte in parte in sede e in parte dallo studio di casa, integrare le soluzioni della scorsa era – quella pre Covid – con i nuovi gadget tecnologici.
Il primo passo è naturalmente equipaggiarsi con la dotazione di base, che include schermi, una rete robusta, videocamere e microfoni. E poi, al contempo, ristrutturare gli interni in modo che siano adeguati alle nuove esigenze. Per esempio, sono diverse le ragioni che inducono ad abbandonare la moda degli open space, in favore di divisioni interne che favoriscano il distanziamento, ma anche privacy e silenzio per le riunioni digitali. Improbabile, però, un ritorno ai cubicoli degli anni Sessanta e Settanta, mentre più gettonata è l’idea di inserire divisorie interne modulabili e flessibili.
Tra minimalismo e socializzazione
Aspetto interessante, e decisamente futuribile, è la cosiddetta politica della scrivania pulita (clean desk policy). In sostanza, la spersonalizzazione delle postazioni di lavoro, verso un’occupazione minimalista dei tavoli. Le ragioni sono almeno un paio: anzitutto l’igiene, molto più semplice da assicurare quando gli oggetti sono pochi, e poi il tramonto dell’idea di una propria scrivania, in favore di spazi flessibili e occupati da persone diverse in momenti diversi, intervallati da una sanificazione.
Del tutto innovativo è il concetto di working experience, che punta non solo all’efficienza nella prestazione, ma anche ad assicurare a ciascun lavoratore la miglior qualità di vita possibile. All’atto pratico, fondamentali sono le occasioni di contatto con i colleghi, vale a dire gli spazi per la socializzazione, che ancora una volta dovranno consentire a chi si trova fisicamente in sede di interloquire – come davanti a un caffè – con chi in quella giornata lavora da casa. Sarà molto raro poter riunire in una stessa stanza tutto il gruppo di lavoro, dunque il mix di fisico e digitale diventerà irrinunciabile.
Lavorare ovunque
Più che rivoluzionare il singolo ufficio o la postazione di lavoro, secondo i designer il vero cambio di paradigma consisterà nell’individuare – e adattare alla propria attività professionale – degli spazi che erano (o tuttora sono) deputati ad altro. E non si tratta solo della scrivania di fortuna organizzata in un angolo del salotto durante il lockdown, bensì della trasformazione degli spazi comuni. Anzitutto in azienda: le grandi sale conferenze potranno essere sezionate in modo da ricavare nuovi uffici, le sale riunioni non consisteranno più solo di grandi tavolate ma anche di spazi piccoli per chi si collega da remoto a un meeting che avviene altrove, e soprattutto si potranno riadattare spazi dove tradizionalmente non si lavorava. L’esempio più emblematico è quello delle mense aziendali, che continueranno a svolgere la propria funzione all’ora di pranzo, ma potranno diventare postazioni aggiuntive nel resto della giornata, dando forma a quello che negli Stati Uniti chiamano smart canteen.
Ancora più straniante, e per questo solo ipotetica, è la soluzione di ripensare non solo gli spazi comuni aziendali, ma anche quelli residenziali. Il nome tecnico è co-smartworking, e di fatto consiste nel ricavare postazioni e scrivanie in luoghi come sale condominiali, atrii, corridoi e terrazzi. Insomma, un’alternativa allo smartworking confinato nel proprio appartamento, ma sempre con il vantaggio di non doversi muovere da casa.
Dal plexiglass all’hi-tech
Che le barriere divisorie interne agli uffici e davanti agli sportelli siano soluzioni emergenziali – delle pezze provvisorie – è evidente a qualunque designer di spazi. La sfida, infatti, è creare ambienti più spaziosi, distanziati e ariosi, ma allo stesso tempo garantire il comfort di tutte le persone che frequentano l’edificio. Corridoi più larghi, porte meno anguste, scrivanie più ampie e aree all’aperto per la bella stagione sono ciò che può rendere l’ufficio migliore della casa, in sicurezza ma anche come adeguatezza al lavoro. Con l’ergonomia, l’insonorizzazione e la gestione di temperatura e umidità a fare il resto.
Un contributo essenziale sarà però quello dato dalla tecnologia. Pensiamo per esempio agli ascensori: già la loro capienza risulterà necessariamente ridotta, e per di più la tastiera di controllo obbligherebbe a sanificazioni frequenti. La soluzione specifica è il comando vocale, su cui pure Amazon (tramite Alexa) è al lavoro. Con la stessa modalità, anche le altre interfacce fisiche potranno essere rimosse, dalla gestione delle tende all’impianto di condizionamento, fino alle macchinette del caffè.
Di altro genere, e ugualmente utili, sono le soluzioni per la gestione delle sale riunioni. Non solo nella dotazione informatica di ciascuna stanza, ma soprattutto nella regolazione intelligente dei flussi di persone. Anziché prenotare una sala per un certo orario, quindi, la riunione all’interno dell’azienda diventerà un servizio, che un software assegnerà al miglior spazio fisico possibile, sulla base del numero di persone presenti e delle necessità specifiche. Il tutto con un sistema di cloud interno che, per spingerci un po’ verso il futuro, dia la possibilità di fare brainstorming su lavagna ovunque in azienda (area svago inclusa), salvando poi in un sistema condiviso e delocalizzato le idee arrivate quando meno ce lo si aspetta.