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Tutta la verità, vi prego, sul southworking

Scritto da Claudio Plazzotta | 01/10/20 11.28

La primavera e l’estate in Italia hanno portato lungamente a dibattere sul tema del cosiddetto southworking, ovvero un’affascinante teoria in base alla quale, una volta sperimentato il lavoro da remoto durante il lockdown da Covid-19, molte aziende, concentrate nel Nord nel paese, avrebbero lasciato buona parte dei loro dipendenti stabilmente a casa. Liberi, quindi, di rientrare nelle regioni di origine, magari al Sud, forse nelle grandi case di famiglia in riva al mare. Con stipendi inalterati ma con un costo della vita molte volte inferiore, per esempio, rispetto a Milano.

Una teoria che deve ancora comprendere bene come sviluppare le sue potenzialità, che certamente non può farlo in maniera tutto-o-nulla, ma che deve trovare terreno fertile in una nuova cultura aziendale che sta nascendo e ha bisogno di tempo per affermarsi. Almeno secondo quanto pensa Antonio Perdichizzi, fondatore e ceo di Tree, azienda nata a Catania e specializzata nell’offrire soluzioni di business a grandi aziende, pmi, start-up e istituzioni. E appena entrata nel gruppo internazionale Opinno, fondato in Silicon Valley nel 2008 e che con Tree conterà 230 dipendenti, uffici in 12 città di sette diversi paesi tra Europa e America, e oltre 16 milioni di euro di fatturato.

Il video dell’intervista ad Antonio Pederchizzi di Tree su Rai News

In questa prima fase il fenomeno del southworking inteso come un rientro al Sud di lavoratori “dipenderà molto dalle scelte individuali, ma non sarà un fenomeno di massa: qualcuno vorrà avviare un nuovo percorso professionale e di vita. Parliamo, però, di percentuali molto basse”, commenta Perdichizzi, “anche perché se uno lavora a Torino non necessariamente vorrà tornare a Sud. Magari potrebbe trasferirsi in Emilia o in Toscana. Oppure si enfatizzerà più semplicemente il modello della provincia lombarda a discapito della grande città di Milano”.

Ci sono i trasporti, la sanità, l’istruzione, la digitalizzazione, l’intrattenimento, l’offerta culturale, in generale i servizi a fare la differenza e a trattenere le persone a Nord. “Sarebbe bellissimo potere veramente attrarre a Sud le professionalità già formate che lavorano al Nord. Ma dovremo creare le condizioni affinché questo avvenga. Parlo di imprese che costruiscano realmente organizzazioni adatte al lavoro agile. E poi servono le infrastrutture in loco. Il grande problema è che a Sud non c’è la giusta offerta per i professionisti attualmente impiegati al Nord, soprattutto da parte delle pmi. Poi è necessario il ruolo delle città, con una offerta di cultura, istruzione, servizi sanitari, trasporti, connessioni digitali. Tutto deve essere adeguato”.

Quindi che fare? Secondo Perdichizzi il momento è comunque molto stuzzicante, con nuove priorità che potrebbero favorire il Mezzogiorno. “Le aziende che assumono programmatori o addetti al coding sono già abituate a lavorare in modalità agile, con personale a progetto, forme contrattuali diverse, magari freelance. Allora, piuttosto che spostare gente da Nord a Sud, è più interessante de-localizzare per intero alcuni settori. A Bari o a Napoli ci sono già grossi colossi tech con i loro centri. La nostra sfida è mettere la Sicilia, e Catania in particolare, al centro di questa nuova trasformazione. Catania viene definita la Milano del Sud, la Etna Valley, ha una vocazione imprenditoriale, è una città interessante ma c’è molto da costruire”.

In sostanza, dice Perdichizzi, fino a qualche tempo fa una grande azienda, per de-localizzare in Sicilia, avrebbe dovuto aprire un centro di sviluppo con una grande sede sull’isola assumendo tante persone. Ora si può fare diversamente: “Non c’è bisogno di aprire qui una sede prestigiosa e costosa, e di assumere 100 persone. Si lasciano le persone a lavorare a casa propria o in altri ambienti, con una modalità diversa di delocalizzazione. Penso al co-working”.

In effetti, facendo una analisi del mercato, alle aziende conviene certamente organizzarsi con molto smartworking: ci sono risparmi sugli spazi di real estate, c’è un aumento della produttività, “ma solo se un’impresa accetta di ristrutturarsi allora l’azienda e i lavoratori possono allearsi. Non varrà per tutte le aziende. Per quelle molto digitalizzate sì, e cogliere le opportunità rappresenta un reciproco vantaggio”. All’inizio, soprattutto quando finirà lo stato di emergenza, “ci sarà una prima regolamentazione molto soft, uno smartworking non totalizzante, 1-2 giorni a settimana, mentre per il resto si rientra in ufficio. Questa è la via più semplice. Ci vorrà invece del tempo per fare piani più strutturali”, prevede Perdichizzi, “che hanno a che fare con una radicale riorganizzazione del lavoro. Vedremo solo nei prossimi mesi chi sarà capace di sfruttare la capacità competitiva e chi no. Di sicuro, da tempo le persone chiedevano flessibilità e la concezione di lavoro in ufficio era sotto attacco da un po’. C’è stato ormai quasi un anno di tempo per sperimentare. Le aziende si sono rese conto che non devono più concentrare le persone nelle loro sedi, magari possono concentrarle in altri luoghi, in strutture in co-working diffuse in molte città. Questo per dotare i lavoratori di spazi, attrezzature, device e connessioni ideali. Perché, va detto, non è facile lavorare da casa: tanti non hanno spazio, non sono tranquilli, non hanno sedie e scrivanie adeguate, non hanno la connessione, non hanno i device, non hanno dotazioni tecnologiche per fare videocall di qualità. Perciò la creazione di un luogo di lavoro fisico, ma in un’altra città, in un’altro posto, potrebbe essere un mix interessante”.

Il gruppo della Tree School a Catania

Punto di caduta di tutti questi ragionamenti è Tree school, una scuola in presenza e on line appena lanciata a Catania da Tree, Experis (ManpowerGroup) e Unicredit, con il compito di formare mille persone in tre anni con 10-12 corsi all’anno frequentati da 30 persone ciascuno. Nel 2020 già completati i primi due corsi partiti a maggio, e adesso stanno prendendo il via i successivi cinque. Tree school offre formazione con corsi per giovani talenti in programmazione, data science, marketing digitale, e fornisce una serie di servizi integrati, come acceleratori di business, contenuti educativi orientati al business, mentoring e consulenza per aziende e start-up, hackathon (eventi per sviluppatori software), creazione di reti per facilitare l’innovazione aperta tra aziende, pmi ed ecosistemi di innovazione nazionali e internazionali. “È un luogo fisico dove apprendere, lavorare, anche come punto di appoggio di co-working per questo nuovo smartworking di cui si parlava prima. La sede è a palazzo Biscari, il più importante palazzo privato storico del centro di Catania. Un edificio bellissimo”, conclude Perdichizzi, “che rendiamo luogo di innovazione e sperimentazione nel cuore della città. In questo palazzo uno può formarsi, e poi lavorare lì, con tutte le dotazioni tecnologiche necessarie. La sede della scuola verrà inaugurata a dicembre e sarà operativa a gennaio. Tutti i corsi saranno in modalità ibrida, in parte in presenza, in parte in streaming, e saranno gratuiti perché sono le aziende a pagarli. Ci siamo focalizzati sulla formazione di professionisti di programmazione e di coding, grandi necessità delle imprese e con enormi opportunità di occupazione. Abbiamo consapevolezza, peraltro, che dopo il Covid queste professioni saranno ancor più necessarie per costruire una moltitudine di piattaforme immateriali e le nuove infrastrutture delle città smart”.