Nel 1992 le soccer mums, le mamme che accompagnano i figli alle partite, furono determinanti per mandare alla Casa Bianca Bill Clinton. Nel 2008 le elettrici (soprattutto ma non solo della comunità afroamericana) contribuirono nettamente alla vittoria di Barack Obama. Nel 2016 le “suburban women” le americane per lo più bianche e benestanti che abitano nelle ville dei sobborghi, scelsero Donald Trump preferendo “uno come loro” a una donna, Hillary Clinton, che invece non sentivano vicina.
Le donne conteranno molto anche in questa campagna 2020, forse la più violenta e divisiva dell’America degli ultimi decenni. Alcuni sondaggi e più di una ricerca hanno individuato tre diversi trend che sembrano caratterizzare donne e presidenziali della campagna 2020.
Primo elemento: il gender gap. Non c’è solo una grande divisione tra elettori bianchi ed elettori delle diverse minoranze o elettori che vivono a New York o a Los Angeles o elettori che vivono in Nebraska. Certo, resiste la divisione tra l’America delle due coste, l’Atlantico e il Pacifico, e l’America degli stati rurali o meno ricchi. Ma questa volta emerge anche e sempre più netta una differenza di genere. Un sondaggio condotto in Iowa, uno stato sempre decisivo e nel quale nel 2016 Trump vinse col 51,2 per cento dei voti contro il 41,7 per cento incassato da Hillary Clinton, in Iowa, insomma, le elettrici sono più propense a votare per Biden mentre gli elettori maschi continuerebbero a votare per Trump.
Secondo elemento, le mamme sono cambiate. Le “suburban women” che nel 2016 furono tra le chiavi del sorprendente successo di Trump, sarebbero ora molto più tiepide nei confronti dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Tra le ragioni di questa disaffezione, racconta il Financial Times, i toni estremisti, vicini a quelli usati dai suprematisti bianchi, adottati da Trump per contrastare il movimento Black Lives Matter. Altri fanno notare che le “suburban women” alle quali si rivolge il settantaquattrenne Donald Trump non sono più quelle che ha in mente lui, le casalinghe benestanti degli anni 60/70. Sono donne che spesso hanno un’attività, madri spaventate dal crescendo di violenza innescata negli ultimi mesi dalle tensioni tra polizia e afroamericani. Molte, scrive il Financial Times, condividono l’azione di Black Lives Matter.
Infine, terzo ed ultimo elemento, ma certamente non secondario, questa campagna per le presidenziali 2020 si caratterizza anche per un nuovo e crescente impegno delle donne nelle donazioni ai candidati. Negli USA per fare politica devi raccogliere un fiume di dollari. Nel 1990 le donatrici costituivano una parte residuale del totale: appena il 24 per cento. Nel 2016 rappresentavano già il 37 per cento. Quest’anno (dati del Center for Responsive Politics) sono al 44 per cento. Questo in parte perché oggi ci sono molte più donne economicamente forti e autonome di quanto non fosse trent’anni fa, ma anche perché la sconfitta di Hillary Clinton, prima donna ad aver davvero sfiorato il ruolo di “commander in chief”, è stata una lezione per le molte elettrici democratiche convinte, fino all’ultimo, che avrebbe vinto lei. Tra i donatori che hanno puntato su Trump il 37 per cento sono donne. Tra quelli che hanno puntato su Biden le donne sono invece il 48 per cento.