Viviamo in un mondo più insicuro, più fragile, più interconnesso e certamente giocoforza più virtuale. Se c’è infatti un elemento che ha segnato questi mesi così difficili a tutte le latitudini e longitudini è il balzo del virtuale. Di necessità virtù, d’altronde. E così dall’inizio dell’anno abbiamo registrato un po’ dappertutto una crescita senza eguali negli anni precedenti della fruizione delle piattaforme digitali, soprattutto quelle che adottano dinamiche immersive legate all’engagement, ossia a quel coinvolgimento di fatto oggi essenziale. “La realtà virtuale e la realtà aumentata ridefiniranno il nostro rapporto con la tecnologia in questi anni 20”, ha dichiarato nel suo post di inizio anno Mark Zuckerberg. Un’affermazione che ha anticipato di alcune settimane lo tsunami legato all’emergenza Covid-19 in Italia e nel mondo. Esserci a distanza, ma come se si fosse lì. Un’esigenza nel tempo del distanziamento sociale.
Pochi giorni fa ha fatto il giro del mondo e dei social la storia di Moniker, un’agenzia impegnata a pianificare viaggi e ritiri aziendali per rafforzare la collaborazione nei team di lavoro. Ma con l’emergenza Covid-19 e la moltiplicazione dello smartworking ecco che la società s’è reiventata con le esperienze virtuali costruite per rafforzare la cultura aziendale. Si va dal tradizionale problem solving collaborativo al puro intrattenimento. In tre mesi ha generato oltre 330mila dollari e prenotato 126 esperienze virtuali per colossi del calibro di Unilever, PwC, McKinsey. “Poiché la consapevolezza che il lavoro a distanza non sarà una soluzione a breve termine, sempre più aziende stanno puntando e investendo nel team building virtuale per promuovere la cultura e la motivazione prima che gli effetti a lungo termine del distanziamento possano farsi sentire”, hanno spiegato dalla società. La paura è che la mancanza di coinvolgimento dei dipendenti porti a morale, prestazioni e fedeltà basse. “Perché col lavoro a distanza c’è un reale pericolo, che i “disimpegnati” lo diventino ancora di più”, ha affermato Joe Lennon, co-founder di Workvivo. Tutti sugli schermi, meglio se legati ad esperienze di realtà virtuale, quindi con la creazione di mondi anche molto lontani dai contesti geografici nei quali si vive e ci si collega, e a dinamiche di realtà aumentata, ossia mondi che partono dal proprio contesto geografico e che presentano opzioni “aumentate” di realtà, quindi in grado di inserire elementi fantastici e ricreati da zero. Il settore d’altronde cresce esponenzialmente e si stima che potrebbe generare fino a 23 milioni di posti di lavoro nei prossimi 10 anni, si è detto pochi giorni fa durante il Festival VRExperience di Roma.
Schermi, schermi ovunque. E si moltiplicano le sperimentazioni. Zoom ha annunciato in questi giorni il lancio di OnZoom, piattaforma che permetterà a utenti e aziende di realizzare veri e propri eventi via video con la possibilità di vendere biglietti per quelli con oltre mille iscritti, come ha riportato la BBC. Disney ha deciso di scommettere sullo streaming, provando a rispondere in questo modo alla crisi legata dalla chiusura dei parchi a tema. Amazon Prime ha abilitato alla visione delle serie tv in suo possesso su Twitch piccoli gruppi di interesse e Facebook ha pensato di lanciare in questo autunno segnato dall’ombra del lockdown Watch Together con i video commentati tra amici. I partecipanti possono così dire la loro in diretta, intervenendo sui video proposti dal social come se fossero nella stessa stanza. Una sorta di cineforum fino a otto utenti, mentre con Messenger Rooms i video possono essere visualizzati da un massimo di cinquanta persone. “Niente può sostituire l’essere nella stessa stanza con le persone che ami, ma Watch Together ci si avvicina molto”, ha dichiarato Nora Micheva, product manager di Facebook.
Dai colossi hi-tech a quelli del gioco, anche tradizionale che però si reiventa con gli schermi. Mattel per esempio ha annunciato l’arrivo di Pictionary Air, il classico gioco di disegno che esce dalla carta per finire in un ambiente di realtà virtuale. Di fatto all’interno della confezione i giocatori troveranno una speciale penna tech da collegare all’applicazione dedicata al gioco, da scaricare su smartphone o tablet.
Croce e delizia. Ma la verità è che il digitale fa bene alle imprese, come dimostra uno studio condotto da Forrester e dalla content platform THRON che ha analizzato oltre 200 brand europei. La relazione brand-cliente si giocherà sempre di più sulla convergenza di informazioni e su tutte le fasi della filiera, dal marketing alla produzione, fino al post-vendita. Un approccio che porta benefici in 7 aziende su 10, facendo aumentare i clienti (68%) e la loro soddisfazione (71%). Lo affermano i risultati del report “Prepararsi all’era Phygital”. Crescono la soddisfazione del cliente (+20), le conversioni in business (17%) e l’Ebitda (+16%). La moltiplicazione degli schermi mi ricorda le parole di Derrick de Kerckhove, che ho intervistato pochi mesi fa per il Sole24Ore. «Dobbiamo dirlo chiaramente: oggi abbiamo accesso al mondo grazie ad uno smartphone. Siamo al rovesciamento della proporzione tra reale e virtuale. Per continuare a comunicare ci troviamo tutti nella condizione di passare al digitale. I format di questi schermi sostituiscono oggi le forme di relazione umana e aggiungono la possibilità di una memoria storica”, mi ha detto de Kerckhove. Emerge un ecosistema in cui la necessità di interazione diventa condizione essenziale per una soglia di attenzione molto più labile. “Non abbiamo più la stessa pazienza verso prodotti chiusi e preconfezionati. Abbiamo bisogno di partecipare, di connetterci reciprocamente”, conclude de Kerckhove. Partecipazioni virtuali, in attesa – e chissà quando – di poterci riconnettere dal vivo.