Sono passati otto anni da quando l’Harvard Business Review lo aveva definito “il lavoro più sexy del ventunesimo secolo”: e in effetti ancora oggi il data scientist si conferma una delle figure professionali più ambite in quasi ogni settore. La scienza dei dati, che rielabora i dati grezzi in informazioni utili, è infatti la conseguenza naturale della rivoluzione digitale e sta cambiando rapidamente non solo il nostro modo di fare business, ma anche di socializzare, condurre ricerche e governare la società. Matematica, statistica, informatica e scienze sociali sono intrecciate in un mix che sta portando algoritmi e data mining fuori dalle aule universitarie e dentro un mare di applicazioni concrete. Ecco perché il data scientist è diventato una figura indispensabile in ogni contesto lavorativo.
Chi è e cosa fa
Il data scientist è una figura altamente specializzata che, all’interno di un’azienda, gestisce i Big Data e ne trae informazioni rilevanti. Per capire bene cosa fa bisogna considerare il nuovo paradigma su cui si poggia oggi la ricerca in questo ambito. Le analisi di enormi quantità di dati non servono più soltanto a validare teorie e modelli esistenti come accadeva in passato, ma anche a scoprire nuovi pattern emergenti dai dati stessi. Il motivo? I ricercatori hanno capito che i dati una comprensione più profonda di fenomeni complessi, sociali, tecnologici, economici, biologici, culturali. E il resto del mondo ora si sta muovendo di conseguenza. Il data scientist è quindi capace di sfruttare sia i dati sia i modelli per trasformare i big data in conoscenza utilizzabile per risolvere, ad esempio, problemi relativi al business di un’azienda. È un esperto capace di estrapolare insight, analisi e report da grandi basi di dati, strutturati e non. Il ruolo del data scientist è particolarmente rilevante se si pensa che per le grandi aziende la gestione del business dipende ormai da modelli, gestione di parametri critici, automatizzazione e riduzione del rischio di errore, e dalla capacità intercettare i comportamenti del consumatore. Lo scienziato dei dati parte quindi da un’esigenza di business e la traduce in analisi dei dati, utilizzando tecniche matematico-statistiche per creare dei modelli descrittivi, di forecasting e ottimizzazione.
Cinque aree di competenza
Secondo l’osservatorio del Politecnico di Milano, sono cinque le principali aree di competenza di un data scientist.
- Tecnologia: intesa come capacità di gestire ed estrarre informazioni da dati strutturati e non
- Analytics/Machine Learning: la conoscenza di modelli e tecniche matematico-statistiche, così come di algoritmi e machine learning
- Programmazione: l’uso dei principali linguaggi, come Python o R
- Knowledge Deployment: la capacità rappresentare dati interessanti con modalità intuitive per aiutarne l’interpretazione da parte dei non addetti ai lavori (quindi l’uso di software di data visualization e design)
- Comprensione del business: conoscenza delle macro e di governo di variabili legate al settore in cui l’azienda opera.
A queste competenze hard, si affiancano anche una serie di qualità più soft: lo scienziato dei dati è in genere anche una persona curiosa e proattiva, interessato a risolvere problemi e a porsi domande per migliorare i processi di business.
Come si diventa data scientist
Da questa introduzione è chiaro che stiamo parlando di un professionista altamente qualificato. Infatti i data scientist possiedono sempre una laurea e nella maggioranza dei casi questa è una laurea Magistrale o PhD, in genere tra le facoltà di Ingegneria, Informatica, Economia, Matematica e Statistica. Ma si tratta in realtà di una disciplina molto interdisciplinare. Un esempio è il caso di Gevorg Yeghikyan, 27 anni, che un mese fa è diventato il primo dottore in Data Science alla Scuola Normale Superiore di Pisa, un indirizzo multidisciplinare che integra le materie Stem (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) con l’economia, la ricerca e l’innovazione industriale. In Italia a offrire programmi di formazione multidisciplinare, oltre all’Università di Pisa, sono la Luiss di Roma, con un nuovo master, la Statale di Milano, Milano-Bicocca, La Sapienza e Università Bocconi, con un percorso specialistico dedicato a Data Science e Business Analytics. Negli Stati Uniti, l’università di Berkley ha creato una facoltà interdisciplinare, che integra matematica, informatica e ingegneria, con l’obiettivo di formare una figura professionale capace di leggere i dati e comprendere i fenomeni sociali, iscrivendoli in una logica numerica applicabile agli strumenti digitali che le aziende dispongono. Negli ultimi anni sono inoltre numerosi i master professionalizzanti proposti da enti e aziende, come quello di Cefriel e Politecnico, oppure un altro di Talent Garden con Groupama.
Quanto guadagna uno scienziato dei dati
Ma quanto guadagna allora una figura così ricercata? Le opportunità di carriera per un data scientist si sono moltiplicate nell’ultimo decennio e verrebbe spontaneo pensare che lo stipendio vada di pari passo. In effetti negli Stati Uniti i data scientist ricevono oltre 110mila dollari all’anno. Tuttavia la loro situazione rappresenta un’eccezione nel panorama generale: negli altri Paesi i guadagni sono considerevolmente più bassi. Secondo gli ultimi dati elaborati dall’Osservatorio del Politecnico, la media è di 68mila dollari all’anno. In Italia invece un data scientist guadagna circa 30mila euro annui (cifra confermata anche dal portale Glassdoor).
La situazione in Italia
Gli ultimi dati attendibili disponibili sono quelli elaborati dall’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence del Politecnico. Nel 2019, la figura più ricercata in assoluto nell’ambito degli analytics – mercato che in Italia vale 1,7 miliardi di euro, +23% rispetto all’anno prima – era il Data analyst, che si trova nel 76% delle grandi aziende. Il data scientist invece già un anno fa era presente in metà delle grandi aziende (49%) e tra queste tutte ne hanno aumentato il numero rispetto all’anno precedente, mentre circa una su tre lo ha raddoppiato. Dati positivi, che controbilanciano il rallentamento registrato dal 2017 al 2019, quando la diffusione dei data scientist è aumentata solo del 6%. Dal 2018 al 2019 c’è stato anche un considerevole balzo in avanti delle aziende che hanno inserito personale formato sugli analytics: dal 31% al 50%. L’altra metà è però ancora legata a modelli più tradizionali. Tuttavia, un’azienda su tre aveva dichiarato di voler assumere un data scientist entro la fine del 2020: bisognerà ora vedere se le previsioni sono state rispettate e quanto ha inciso la pandemia sulla spinta a innovare anche in quest’ambito.