Di Cristiana Capotondi colpisce l’idea che nella vita si debba costantemente imparare, senza sosta. Per lei, attrice riconosciuta, protagonista di alcune delle recenti produzioni cinematografiche italiane di maggior successo, è stato proprio così: dal novembre 2018 è vicepresidente della Lega Pro, l’organo che gestisce il campionato italiano di terza divisione. Si è messa in gioco, è entrata a far parte di un mondo nuovo, anche se le è sempre appartenuto da tifosa. Ha imparato, continua a farlo. Poteva scegliere di restare ancorata alla routine, alle abitudini di sempre, alla dimensione di sempre. E invece ha attraversato con grande entusiasmo una nuova frontiera personale. Una grande lezione che ci mostra come il lavoro non sia un approdo finale nelle nostre scelte, ma una ramificazione di opportunità e saperi che ci mette in moto continuo e perpetuo. “La vita presuppone l’obbligo di rinnovarsi, di conquistare terreni diversi, di novità costanti – sottolinea Capotondi -. Le persone che stimo maggiormente sono quelle che, pur avendo avuto successo in un ambito, iniziano percorsi diversi: vuol dire che sentono e concretizzano questa spinta”.
Una descrizione che le aderisce perfettamente. Cristiana, tuttavia, dice di non sentirsi fiera per questa nuova esperienza nei vertici calcistici. Piuttosto utilizza un altro aggettivo: felice. “Per l’opportunità che mi è stata data. Ho cercato di dedicare a questo ruolo tutte le mie energie, credo di aver capito molto e spero di aver dato un mio contributo. Molti pensano: il calcio è un mondo maschilista. Io lo definirei “militaresco”, con dinamiche di nonnismo. È un mondo complicato, chiuso, e non è facile entrarvi. Ma ho avuto anche dei bravi maestri che mi hanno protetta, che mi hanno accolto con affetto, facendomi sentire che c’è una strada da percorrere, e tanto da imparare”. E la presenza delle donne all’interno del calcio e dello sport, fortunatamente, non è più un tabù: al ruolo in Lega Pro, Cristiana ha di recente aggiunto un’altra nomina prestigiosa, quella di capodelegazione della Nazionale femminile. Le direttive sulle quote rosa emanate dal Coni, per far sì che nelle varie federazioni sportive le donne non venissero escluse, è stato il primo passo. “Ma mi piacerebbe arrivarci a prescindere dalle quote rosa – sottolinea Capotondi -. Per ora sono state uno strumento utile per invogliare molte donne ad entrare in settori che in passato non interessavano. Se guardo alla mia Lega, la presenza femminile è ampia e variegata: avvocati, ruoli in amministrazione, comunicazione, organizzazione di eventi… la macchina della Lega va avanti anche grazie a loro. E anche all’interno delle società calcistiche lo scenario è molto cambiato: per esempio il Padova ha un amministratore delegato donna, Alessandra Bianchi, che veniva da altre esperienze e le ha portate nel calcio. È il segnale che le donne sono in cammino in tutti i settori e il mondo dello sport non è da meno”.
Competenze diversificate, esperienze di matrice varia, vocazione alla formazione. Concetti che Cristiana Capotondi ha fatto suoi adottandoli in concreto, e che rappresentano in fondo la mission della Lega di cui è vicepresidente. La Serie C, sottolinea Cristiana, è “il primo punto di realizzazione del sogno”. Un calciatore che arriva a questo livello è un professionista: magari si è lasciato alle spalle il dilettantismo, e quindi può pensare a se stesso come un calciatore formato, se non nelle qualità tecniche sicuramente nel suo status. Ma la strada fino alla Serie A, al successo sportivo ed economico, rimane decisamente impervia. Può succedere che quel sogno si interrompa. E allora il ruolo della Lega Pro diventa fondamentale: alla crescita sul campo si accompagna una crescita culturale, di studio, di formazione pura, dall’apprendimento delle lingue alla possibilità di fare scambi culturali. “È il vecchio tema della dispersione scolastica – racconta Capotondi -, a cui stiamo cercando di dare priorità. Conciliare lo studio con l’attività agonistica è possibile, è quello che vogliamo comunicare. Ai valori dello sport vogliamo accompagnare un percorso che consenta a questi ragazzi che a 35, 36 anni si ritirano dal calcio giocato di essere competitivi nel mondo del lavoro. Oggi le competenze sono altissime, e non è facile misurarsi con ragazzi che, fuori dal perimetro del calcio, lavorano già a 24 anni, con una preparazione base enorme. Noi vogliamo andare in questa direzione con tutte le nostre forze, anche con un lavoro di concerto con tecnici e club”. Perciò, finalmente anche in Italia si parla di un tema, quello del post-carriera dei calciatori, che fino a poco tempo fa non rientrava nell’agenda della governance calcistica. Anzi: la grande attenzione di questi ultimi tempi ha per molti calciatori ribaltato la prospettiva. Fino al caso principe di Alessandro Spanò: a 26 anni, dopo aver ottenuto la soddisfazione sportiva più grande della sua carriera con la promozione in Serie B da capitano della Reggiana, ha deciso di ritirarsi dal calcio, dopo aver ottenuto una borsa di studio in una Business School internazionale. Proseguirà gli studi dopo la laurea in Economia e Management aziendale.
In una categoria che non elargisce ingaggi da favola, l’educazione al lavoro è dunque una sfida da rinnovare costantemente. Soprattutto in un periodo come quello attuale, con la diffusione della pandemia che ha messo in ginocchio quasi tutti i settori industriali del Paese. Il calcio non fa eccezione, e in Serie C le difficoltà economiche si sentono ancora di più, con zero introiti tra botteghino e sponsorizzazioni. Anche in questo frangente la Lega Pro si è dimostrata all’avanguardia, offrendo la possibilità per i calciatori che guadagnano meno di 50mila euro annui di usufruire della cassa integrazione in deroga, mettendo a loro disposizione un supporto di esperti che possano guidarli lungo questo percorso. Un’altra battaglia di buonsenso, un altro traguardo conquistato. Per Capotondi, un altro tassello di un lavoro che, in una parola, definisce “emozionante”.