Talento e lavoro sono componenti essenziali per raggiungere qualsiasi obiettivo, nello sport e nella vita. L’hanno raccontato Cristina Chirichella e Alessia Populini, due giocatrici simbolo dell’AGIL Volley Novara, squadra Campione d’Italia nel 2017, vincitrice della Champions League 2019, ma anche centro di un progetto che va oltre il gioco e il business sportivo. Lo ha spiegato il Patron Fabio Leonardi: «Il nostro lavoro ha anche una finalità sociale. Abbiamo un vivaio con oltre 250 atlete e siamo collegati a società in diverse regioni. Così abbiamo permesso a molte ragazze di crescere secondo i valori che formano l’acronimo AGIL: Amicizia, Gioia, Impegno e Lealtà. È a partire da qui che investiamo nel talento, lo riconosciamo, lo coltiviamo». È un approccio che funziona, come dimostrano i risultati e la carriera di Chirichella e Populini, ma anche il loro modo di vivere il volley.
Quando avete sentito che un gioco, lo sport della vostra giovinezza, stava diventando un lavoro?
CC. È stato un percorso graduale. Però poi a 18 anni, quando a Pesaro ho esordito in Serie A, mi sono resa conto delle mie reali qualità. È stato in quel momento che ho capito: la pallavolo sarebbe diventata il mio lavoro per un certo periodo della vita.
AP. Al Club Italia ho iniziato a capire che il volley doveva essere al centro della mia vita, che era diventato un lavoro. Ho dovuto scegliere tra il volley e la vita sociale, tra la lontananza da casa e la famiglia. Ero molto giovane, però l’amore per il volley era ed è tale che questo passaggio non mi è pesato.
Entrambe avete giocato nel Club Italia, una diretta emanazione della Federvolley che ha l’obiettivo di formare le pallavoliste del futuro. Come ricordate quel periodo?
CC. Io sono arrivata al Club Italia a 15 anni, ed è lì che ho cominciato a vivere davvero dentro il mondo della pallavolo, per esempio mi allenavo tutti i giorni quando prima andavo in palestra solo tre volte la settimana. Entrare in quel contesto è stato fondamentale per la mia crescita.
AP. Per me è un grande progetto: permette di capire come funziona il volley di alto livello ancora prima di entrarci. È un trampolino di lancio dal punto di vista tecnico, ma ti forma anche come persona: ho levigato le mie qualità e ho imparato a comportarmi da professionista.
Qual è la condizione lavorativa delle pallavoliste in Italia?
CC. Il movimento femminile si sta facendo valere, in vari sport. Per esempio nel 2018 nessuno sapeva che stavamo andando a giocare il Mondiale poi siamo tornate ed eravamo diventate famose. Va detto che nel volley, rispetto ad altre discipline, tra cui il calcio, la disuguaglianza con gli uomini è meno marcata, anche perché il movimento è super-seguito in Italia.
AP. Sicuramente le condizioni delle pallavoliste potranno definirsi migliorate nel momento in cui il volley sarà riconosciuto come un lavoro vero e proprio, con diritti e doveri. Questo upgrade si raggiunge attraverso l’unità: anche per questo abbiamo creato la nuova AIP.
Com’è cambiato il vostro lavoro dopo l’emergenza sanitaria?
CC. Il lockdown ha segnato la vita di noi atleti. Dopo uno stop così lungo, rientrare in forma è stato difficile. La realtà è cambiata, ci sono dei protocolli da seguire, però lo sport è ancora lo stesso: noi giochiamo a pallavolo, quello è rimasto. La società fa ciò che serve per farci allenare e giocare in sicurezza, così la palestra è diventata il nostro luogo protetto. Il cambiamento lo percepisci anche quando giochi e non c’è pubblico: il campionato senza tifosi sarà un’esperienza diversa.
AP. Abbiamo dovuto sviluppare l’attenzione, ora facciamo caso a delle cose che prima sembravano scontate, su cui neanche riflettevamo. Abbiamo dovuto imparare a non sottovalutare niente, e dovremo continuare così.
Igor Novara Volley è una delle società più attente al rapporto con il proprio territorio, cura numerosi progetti con le istituzioni e le associazioni locali. Come siete state coinvolte?
CC. In relazione ai nostri impegni sportivi, andiamo nelle scuole a promuovere la pallavolo. È un impegno importante, che ci fa sentire parte di una comunità: io sono nata in un’altra città ma ora mi sento novarese, sono cresciuta come donna e come atleta insieme alla società.
AP. Io sono entrata in squadra proprio grazie a uno dei link creati da Igor Volley: la prima società in cui ho giocato era collegata a Novara grazie al progetto Sinergy, che coinvolge oltre 3mila aspiranti giocatrici in tutta Italia.
Qual è il momento in cui si determina il link più importante tra volley-sport e volley-lavoro?
CC. L’allenamento è fondamentale, è la base di ciò che una squadra può fare in campo. Il talento è importante, ma ancora più importante è la volontà di coltivarlo: nello sport, è uno spreco quando ci sono le qualità ma non c’è voglia di allenarle.
AP. Quando giochi a pallavolo, metti questo sport prima di tutto, gestisci e indirizzi la tua vita in base alle esigenze della squadra, nei comportamenti, nei rapporti, nella cura del fisico. Ogni momento va vissuto in funzione di ciò che c’è da fare in campo. Questo, per me, è essere professionista.
Come descrivereste il vostro rapporto con il lavoro in una sola parola?
CC. Io userei il termine passione. Un semplice gioco, col tempo è diventato amore per lo sport, per la squadra, è un sentimento che mi ha fatto crescere come atleta e come persona. E se oggi continuo ad allenarmi per migliorare, è perché sono ancora innamorata, ho passione per quello che faccio.
AP. Per me il lavoro e lo sport sono soprattutto impegno. È attraverso l’impegno che si possono raggiungere gli obiettivi che ci prefissiamo, nel volley e nella vita.