Non è una questione ideologica o di lotta contro la disuguaglianza retributiva tra donne e uomini, che comunque già nel 2018 la consigliera per il programma di sviluppo delle Nazioni Unite Anuradha Seth aveva definito “il più grande furto della storia”. No, oggi il rischio reale è quello di una She-cession, espressione inglese per indicare una recessione che colpisce le donne molto più degli uomini. Ovvero esattamente quella che ci troviamo a vivere noi in questo momento, con la pandemia che ha reso le donne le principali vittime dello sconvolgimento sociale ed economico innescato dagli effetti collaterali del virus in tutto il mondo.
A ribadire la triste situazione che leggiamo da mesi in tutti i report è una nuova ricerca condotta a livello globale da ManpowerGroup su oltre 14mila lavoratori in 15 paesi diversi, che mostra come il coronavirus si sia abbattuto in modo sproporzionato sull’occupazione femminile. È quindi tempo di cogliere l’occasione della Giornata internazionale della donna per dire che una risposta all’emergenza da Covid-19 più consapevole dell’impatto di genere è ormai necessaria.
La rottura: come la crisi impatta le donne
I dati indicano che saranno le donne a subire gli effetti più a lungo termine della crisi. Con l’occupazione femminile più a rischio del 19% durante la pandemia rispetto a quella maschile, i pericoli legati alla segregazione occupazionale e all’economia informale sono emersi come mai prima. I settori più colpiti sono quelli con il maggior numero di occupate donne: ristorazione e alberghiero (59%), amministrazione (54%), segreteria (69%), e poi viaggi, vendita al dettaglio e intrattenimento. Al contrario, si assiste a una crescente richiesta di esperti in cybersecurity, sviluppatori informatici e altri profili tech – tutti ruoli con una netta predominanza maschile (e non a caso, un obiettivo per il prossimo futuro designata da tutti è proprio quella di colmare il cosiddetto digital gender gap). Le cifre possono variare da paese in paese, ma raccontano comunque una storia coerente. Per esempio: durante il primo mese di emergenza sanitaria, 740 milioni di donne che lavorano nell’economia informale hanno perso in media il 60% del loro reddito. Questa percentuale sale all’81% nell’Africa sub-sahariana e in America Latina e al 70% in Europa e Asia centrale, mentre le lavoratrici in Asia e nel Pacifico riportano una riduzione del reddito del 22%.
Il ritorno in ufficio? Non così in fretta
Lavorare da casa aiuta le donne, no? È un po’ più complicato di così. “Si è tentati di pensare che le opzioni di lavoro flessibile saranno un grande equalizzatore universale per le donne – dice Tomas Chamorro-Premuzic, Chief Talent Scientist di ManpowerGroup –. Non sempre. È più probabile che gli uomini vogliano usare l’ufficio per il networking, le donne per collaborare e portare a termine il lavoro. Lavorare da casa potrebbe quindi accelerare la disuguaglianza sottostante, riducendo ulteriormente le opportunità di networking faccia a faccia”. La ricerca di ManpowerGroup rivela infatti due diverse attitudini rispetto al rientro in ufficio: le donne lo vedono come una possibilità di separare il lavoro da casa, gli uomini più come un’occasione in più per ottenere visibilità e una promozione. Nell’approcciarci a modalità ibride di lavoro, sarà fondamentale evitare il tradizionale schema duale che vuole gli uomini in ufficio e le donne a casa (e non è un caso che rispetto al rientro in presenza quasi la metà dei primi si sentono positivi, mentre solo un terzo delle donne si dice tranquilla). La svolta, suggerisce il report, potrebbe arrivare da un’impostazione del lavoro basata più sulla performance che sulla quantità di ore di presenza. Risultati, competenze e contributi devono essere le nuove chiavi per tutti.
La vecchia storia del lavoro domestico (non retribuito)
Da sempre, specie in un paese come l’Italia, la cura della casa e della famiglia ricade principalmente sulle spalle delle donne. Questa disparità si è acuita fin dai primi mesi di pandemia e alla fine dell’anno negli Stati Uniti le madri si sono ritrovate a dedicare una media di 15 ore in più rispetto ai padri a faccende domestiche e figli. Tanto che una su tre ha considerato di lasciare il posto di lavoro o passare a part time a causa delle circostanze troppo difficili. Adesso, con oltre 1,5 miliardi di bambini in didattica a distanza, molte lavoratrici si stanno cimentando sempre di più nel ruolo di insegnanti e babysitter. A livello globale, dall’inizio della pandemia il 56% delle donne ha aumentato il tempo dedicato alla cura dei figli (rispetto al 51% degli uomini), e il 60% delle donne riferisce di aver speso più tempo nel lavoro domestico non retribuito (rispetto al 54% degli uomini). È chiaro quindi che una concezione diversa del lavoro non può prescindere da un cambiamento culturale anche dei ruoli tradizionalmente attributi alle madri e ai padri. Mettere in discussione questi – superando anche una rigida dualità di genere oggi inattuale – permetterà anche ai datori di lavoro di attuare meglio la flessibilità che serve.
La mancanza di leadership femminile
Le hanno lodate tutti: le leader donne – da Angela Merkel a Jacinda Arden – sono state apprezzate molto più dei colleghi maschi per come hanno gestito l’emergenza Covid-19. Peraltro, per restare ai piani alti del potere, a maggio 2020 il numero di donne che dirigono le aziende di Fortune 500 ha raggiunto un nuovo record (anche se questo significa che solo il 7% di queste aziende sono gestite da donne). Gli studi continuano oltretutto a dimostrare che le donne fanno bene agli affari. Per esempio, dice la Harvard Business Review, le aziende con il maggior numero di funzionari donne hanno rendimenti finanziari migliori del 34% e dimostrano una maggiore produttività, ma anche performance azionarie e risultati aziendali migliori. Una serie di fattori che hanno contribuito a far crescere, prima della pandemia, la percentuale di donne in ruoli dirigenziali (nel 2019, era cresciuto al 29%, il numero più alto mai registrato). E adesso? Le donne fanno ancora fatica a diventare leader per tutta una serie di ragioni, sociali, economiche, culturali e psicologiche. Ma la ricerca di ManpowerGroup parla chiaro: quando si arriva a parlare di leadership, le donne non cercano favori, solo parità di condizioni. Cosa che ancora non c’è. Infatti le leader intervistate riportano una serie di ostacoli ricorrenti incontrati nelle loro carriere: mancanza di modelli, percorsi differenziati a seconda del genere, e impossibilità di accesso a sponsor o a network.
La lezione dei Millenial: il futuro è flessibilità ed equilibrio
È arrivato però il momento di cambiare registro (e quello che funziona per le donne, funziona anche per gli uomini). La lezione arriva dai Millenial: per il 42% una maggiore flessibilità sul lavoro è la chiave per assicurare alle donne un maggiore accesso alla leadership, mentre il 33% dice che politiche migliori potrebbero ridurre i pregiudizi di genere. Sono proprio loro, i giovani, l’altra categoria più colpita dal Covid-19, che si aspettano una maggiore flessibilità dai posti di lavoro. Sono pronti a correre una maratona infinita nel mondo del lavoro, ma in cambio pretendono un vero cambio di marcia e la possibilità di creare un equilibrio tra lavoro e vita privata che permetta loro di raggiungere i propri obiettivi sia nella carriera sia a livello personale. E sono determinati a ottenere questo cambiamento, perché sono consapevoli di essere loro i portatori di un nuovo mindset, che fra inclusione, diversity, sostenibilità ambientale sta radicalmente trasformando, un tassello alla volta, ogni livello della società.
Dieci cose che i manager possono fare per la parità di genere
Colmare il gender gap non è affare solo delle donne. Conviene a tutti, e non solo per ragioni etiche. Più cresce l’occupazione femminile, più aumenta la ricchezza di un paese. Meglio viene condivisa la cura della casa e dei figli, meglio vivono le famiglie nel complesso. E più donne al potere, in politica e nelle aziende, significa aprire la possibilità di ottenere risultati migliori sotto tanti punti di vista. Ecco dieci cose che secondo lo studio di ManpowerGroup i manager possono fare per la next generation del mondo del lavoro:
- Sapere perché. Avanzare verso la parità di genere sul posto di lavoro è molto più che “la cosa giusta da fare”. I dati sono chiari: le aziende con donne al vertice hanno prestazioni migliori.
- Preparare le donne al successo. Riconoscere gli ostacoli che le donne storicamente affrontano sul lavoro e trovare modi per rimuovere ognuno di questi.
- Far funzionare il lavoro da casa. Capire che il lavoro a distanza non avviene nel vuoto. Sfidare i pregiudizi sulla spartizione dei ruoli dei genitori, in modo da avere ricadute positive nel modo di lavorare.
- Chiedersi: “Perché no?” Invece di dire: “Non ha esperienza”, provate a chiedere: “Di cosa abbiamo bisogno perché funzioni?”.
- Misurare la leadership. Il cambiamento deve essere guidato dall’alto. La leadership deve esserne ritenuta responsabile rendendo i progressi misurabili.
- Fare in modo che conti. I leader devono sapere esattamente dove devono essere le donne. Guardare i numeri macro non è sufficiente. Il cambiamento va pianificato.
- Concentrarsi sull’output. Aggiornate i vostri processi di valutazione delle prestazioni e, cosa fondamentale, non fate pesare il carico, già extra, della cura dei figli.
- Identificare i set di competenze. E dimostrate anche come brevi periodi di formazione e aggiornamento possano accelerare il passaggio delle persone da un lavoro all’altro.
- La capacità di apprendimento sarà il grande equalizzatore. Ora è il momento di concentrarsi su come aiutare i dipendenti a sviluppare competenze tecniche e di assumere persone con un’elevata capacità di apprendimento, uomini o donne che siano. Perché è quello che fa la differenza.
- Assumere per le soft skills. Comunicazione, la collaborazione, la creatività, la curiosità: sono i punti di forza umani più apprezzati – e più difficili da trovare. Ma sono anche l’ingrediente fondamentale per costruire un futuro migliore.