Per anni abbiamo vissuto puntellati da alcuni assiomi sul lavoro difficili da digerire, specie in un Paese a vocazione umanista come il nostro. Si è sempre detto, per esempio, che il futuro sta nella sfera tecnico-scientifica e che pertanto occorre puntare sulla verticalizzazione delle competenze. I più sconsolati scuotono le spalle da tempo, facendo notare come la formazione culturale non venga quasi mai valorizzata in Italia e sostenendo che specializzarsi non serve a nulla, perché tanto di lavoro non ce n’è. Falsi miti, o quasi.
A confutarli arriva il recente studio “Professioni 2030: il futuro delle competenze in Italia”, elaborato da EY, leader mondiale nei servizi professionali, Pearson, leader mondiale nell’education, e ManpowerGroup, multinazionale leader mondiale nelle innovative workforce solutions. È una ricerca che sviluppa un modello predittivo in grado di descrivere come cambierà il lavoro nei prossimi dieci anni e di anticipare le competenze necessarie a fronteggiare i macro cambiamenti che ci attendono a livello ambientale, sociale, politico e tecnologico. Lo studio di basa su una metodologia innovativa creata dall’Università di Oxford, che combina l’analisi degli esperti con un algoritmo e tecniche di machine learning per formulare previsioni a lungo termine.
La premessa di cui tener conto è che ci troviamo già in un contesto diverso rispetto a quello di qualche anno fa. La pandemia ha infatti spostato il focus dal mismatch tra domanda e offerta di competenze al concetto di disemployability, vale a dire la difficoltà strutturale di inserimento occupazionale, che oggi rischia di abbattersi soprattutto su giovani, donne e categorie più deboli. Questo perché la crisi attuale si intreccia a un sistema di istruzione poco inclusivo, che in questi anni ha disperso moltissime risorse, e a un mercato del lavoro già molto polarizzato, che ha creato più posti a bassa qualifica rispetto a quelli altamente qualificati. Nei prossimi anni però questo trend è destinato a cambiare, dice lo studio, che insiste sulla necessità di investire nella formazione di figure professionali in grado di far fronte a scenari complessi. Spiega Mario Mariani, amministratore delegato Pearson Italia e Europe: “L’ingresso dei giovani sul mercato del lavoro è da anni molto difficile. La pandemia, con la perdita di posti di lavoro che ha generato, lo ha reso ancora più complicato. Per noi e per tutte le società che si occupano di formazione, l’obiettivo è aiutare studenti e giovani a formare le competenze necessarie per entrare con successo in un mondo del lavoro che si trasforma incessantemente”.
Secondo il rapporto nei prossimi dieci anni crescerà solo poco più di un terzo delle professioni attuali (circa il 36%), mentre tutte le altre rimarranno stabili (20%) o diminuiranno (44%). Solo la metà delle professioni in crescita, tuttavia, saranno legate all’universo della tecnologia: a dispetto di ogni credenza, aumenteranno anche le professioni legate alla cultura, alla comunicazione, ai servizi di cura, all’insegnamento e alla formazione. Non solo, ma la crescita dell’occupazione si concentrerà sui livelli di qualifiche più alti (professioni tecniche, intellettuali, scientifiche e di alta specializzazione), al contrario di quanto avvenuto negli ultimi anni.
Da qui al 2030, insieme alle professioni, cambieranno anche le competenze più richieste. Nel mirino dei recruiter non ci saranno più, o soltanto, le skill tecniche, bensì quelle cognitive e relazionali. Il modello dello studio ha infatti identificato un set di cinque competenze “fondamentali” che hanno a che fare con le caratteristiche personali più preziose nelle occupazioni in crescita: apprendimento attivo attraverso forme sociali e relazionali, capacità di adattamento, capacità di anticipazione, comprensione degli altri e complex problem-solving. A queste si sommano competenze aggiuntive, come la capacità di analisi, le conoscenze e le abilità tecniche, e quelle ibridanti, come conoscenze in informatica, gestione di impresa, capacità di valutazione sistemica, psicologia. Il peso maggiore sarà comunque affidato alla parte delle soft skills, che chiama in causa innanzitutto le capacità relazionali.
Queste fondamenta umanistiche, intrecciate continuamente con la tecnologia, porteranno alla nascita di nuovi lavori, in base a tre processi principali. Il tutto tenendo conto che più del 50% delle professioni evolveranno in modo non lineare, ovvero ibridandosi a vicenda o trasformandosi in modo radicale. Il primo è la creazione di lavori che prima non c’erano attraverso la fusione di più professioni, come i tecnici delle auto a guida autonoma o gli specialisti delle interfacce umane. Il secondo è la sparizione di vecchi mestieri a vantaggio di nuovi: gli operai specializzati si trasformeranno in addetti all’integrazione con i robot assemblatori o le guide turistiche in progettisti di visite ed eventi virtuali. Il terzo infine è la mutazione, per cui una professione cambia copiando alcuni tratti caratteristici di altre (per esempio gli addetti all’assistenza personale dovranno imparare ad usare device connessi per la telemedicina e acquisire più conoscenze di psicologia e i giornalisti si ibrideranno alle figure dei content creator, veri protagonisti della comunicazione digitale).
“In questi mesi abbiamo assistito ad un grande fenomeno sociale di sopravvivenza e adattamento che genererà sul mercato del lavoro modifiche permanenti – commenta Donato Ferri, Mediterranean Consulting and People Advisory Services Leader di EY –. In futuro avremo profili più ibridi, con competenze tecniche (57% delle professioni in crescita sono legate alla tecnologia), ma con una crescita rilevante di competenze sociali e relazionali. Abbiamo quindi più chiare quali sono le competenze fondamentali e quale sarà la domanda e l’offerta di professioni per settori e per territori”.
Il Covid ha insomma accelerato alcune dinamiche in corso e il mondo iperconnesso di domani avrà bisogno di profili professionali compositi per gestirne la complessità su più livelli. La conclusione dello studio è che oggi è necessario adeguare i sistemi educativi attuali a questo modello variegato, accantonando l’impostazione troppo lineare su cicli molto lunghi e mettendo invece a fuoco le competenze fondamentali della persona. “La pandemia che stiamo affrontando ormai da un anno ci ha posto davanti ad una crisi economica e sociale senza precedenti – afferma Riccardo Barberis, amministratore delegato ManpowerGroup in Italia –. Oggi, se vogliamo far crescere imprese e occupazione nel lungo periodo, dobbiamo saper anticipare i trend futuri delle professioni e competenze più richieste e dobbiamo saper rispondere ai bisogni delle imprese che nell’arco dei prossimi 10 anni, con l’accelerazione della digital transformation, vedranno radicalmente trasformati i propri modelli di business”.
Ecco perché l’analisi di EY, Pearson e Manpower non si ferma qui, ma proseguirà nei prossimi mesi attraverso l’istituzione di un Osservatorio permanente, che continuerà a raccogliere dati su aree specifiche del paese e singoli settori per metterli a disposizione dei decisori pubblici ma anche di scuole e imprese.