È emerso in modo chiaro e netto dalle dichiarazioni di studenti e neolaureati: abbiamo di fronte un cambio di paradigma epocale per le aspirazioni occupazionali. Comparti che storicamente hanno da sempre suscitato grande interesse, e hanno rappresentato gli approdi lavorativi più ambìti, sembrano essere sopravanzati da realtà di tutt’altro altro genere. Insomma, una nuova mentalità collettiva che si preannuncia possa avere presto riflessi sia sul mondo del lavoro sia sui percorsi di formazione.
A quantificare questo fenomeno, a livello internazionale, è la classifica dei World’s most attractive employers 2020, realizzata tra il pre-pandemia e i primi mesi di emergenza sanitaria globale coinvolgendo oltre 230mila giovani. E spaziando tra le dodici economie più grandi del mondo: Stati Uniti, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Giappone, Russia, Corea del Sud, Regno Unito e Italia.
Il dato più interessante, enfatizzato anche dal gruppo svedese dagli autori stessi della ricerca, è la transizione da settori che tradizionalmente sono stati sinonimo di grande prestigio verso industrie dove è predominante la componente d’innovazione. In termini più concreti, sembra essersi ridotto – almeno nella visione di chi si appresta a entrare nel mondo del lavoro – l’interesse dei neolaureati verso il settore bancario e le compagnie di consulenza strategica. E allo stesso tempo ha avuto un’impennata il gradimento verso industrie e comparti che vengono considerati più vicini al mondo high tech, dall’information technology con le grandi aziende che operano online o producono software fino all’automobilistico e al manifatturiero, includendo pure l’industria 4.0 e la realizzazione dei dispositivi elettronici.
Indagando le priorità di studentesse e studenti universitari, in particolare, è emerso che al primo posto spicca un aspetto decisamente materiale e pratico quale il guadagno futuro, che da un lato è visto come elemento chiave per la stabilità finanziaria e dall’altro è considerato più probabile laddove l’innovazione viene fatta quotidianamente. E al secondo posto – con il 46% delle preferenze – c’è esplicitamente l’innovazione stessa, il contribuire e il prendere parte al cambiamento, che solo nell’ultima edizione del report ha avuto una grande impennata in termini di percentuali nei sondaggi. Da questi elementi, dunque, deriverebbe il grosso della preferenza per l’uno o l’altro datore di lavoro, più che altri aspetti molto chiacchierati come l’equilibrio vita-lavoro, la sostenibilità e i benefit aziendali.
Tra le realtà lavorative più attraenti, secondo la ricerca stessa, compaiono molti dei nomi delle grandi multinazionali tecnologiche. Da Amazon a Google, da Apple a Microsoft, passando anche per J. P. Morgan, Philips, Volkswagen e molte altre più o meno note al mercato del lavoro italiano.
Anche se i risultati dei sondaggi sono molto netti, e mostrano certamente quanto sia cambiata la visione dei giovani neolaureati, c’è comunque qualche elemento da discutere. Anzitutto, lo studio non tiene conto dell’effetto della pandemia, perché solo una minoranza degli intervistati ha risposto a marzo e ad aprile 2020, quando l’emergenza era appena all’inizio, mentre tutte le altre risposte sono state coinvolte prima dell’arrivo del Covid-19. Ciò potrebbe significare, vista l’accelerazione del digitale nel corso dell’ultimo anno, un’ulteriore intensificazione dell’effetto.
A ridimensionare invece la portata delle conclusioni sono le caratteristiche del campione di persone intervistate: sono stati interpellati, infatti, soprattutto studenti di ingegneria e tecnologie dell’informazione (per il 54%), oltre che di economia nel restante 46% del campione. Dunque le conclusioni non possono essere estese direttamente a studenti di materie sanitarie, scienze dure, discipline umanistiche e altre aree specifiche, che hanno proprie priorità peculiari.
A fronte di un netto cambio nelle preferenze che si è palesato in un paio d’anni appena, bisogna comunque tenere presente che non per forza la percezione degli studenti e dei neolaureati corrisponde alla realtà. Alla base della minore attrattività del comparto bancario, per esempio, potrebbe esserci una ridotta capacità del settore stesso di raccontarsi negli aspetti di innovazione e sviluppo tecnologico, più che una reale differenza nelle pratiche lavorative quotidiane o nella retribuzione.
Per questo il trend può diventare anche uno stimolo: quelle aziende che non compaiono tra le preferite hanno davanti a sé la sfida di migliorare il modo in cui vengono percepite, per risalire la graduatoria. Contando anche che la pandemia stessa si sta traducendo in un’ulteriore rivoluzione di tutti i valori in gioco, e quindi in questo senso il 2021 e il 2022 saranno anni decisivi per farsi preferire da chi si avvicina per la prima volta al mondo del lavoro, e necessariamente basa le proprie preferenze su quello che viene percepito all’esterno.