Sono davvero tanti i fattori che contribuiscono al raggiungimento di un perfetto (o quasi) work life balance, ovvero un armonioso equilibrio tra vita privata e lavoro. Tra questi, seguendo un percorso che traccia una specie di piramide invertita, abbiamo le azioni del singolo lavoratore, quelle che le aziende adottano di propria iniziativa (soprattutto quando si accorgono che i lavoratori più felici e soddisfatti sono anche quelli più produttivi) e infine quelle innescate dai sistemi nazionali e sovranazionali.
Ma a che punto siamo in Europa con la messa in pratica effettiva del work life balance?
Il Pilastro europeo dei diritti sociali
Partiamo dalle normative. Il work life balance viene citato nel Pilastro europeo dei diritti sociali, una proclamazione congiunta dei presidenti della Commissione, del Parlamento e del Consiglio dell’Unione europea, datata novembre 2017. Il Pilastro individua venti principi fondamentali ai quali ispirarsi per garantire “nuovi e più efficaci diritti per i cittadini”. Tre le categorie: pari opportunità e accesso al mercato del lavoro; condizioni di lavoro eque; protezione sociale e inclusione. Il principio numero 9 riguarda proprio l’equilibrio tra attività professionale e vita familiare. Recita così: “I genitori e le persone con responsabilità di assistenza hanno diritto a un congedo appropriato, modalità di lavoro flessibili e accesso a servizi di assistenza. Gli uomini e le donne hanno pari accesso ai congedi speciali al fine di adempiere le loro responsabilità di assistenza e sono incoraggiati a usufruirne in modo equilibrato”. Questo documento è stato fra i primi a essere preso in considerazione dalla Commissione affinché gli Stati Membri potessero al più presto mettere in atto azioni concrete in questo senso. Con la Direttiva 2019/1158 l’Unione Europea ha indicato le misure da adottare entro il 2022 allo scopo di agevolare il work life balance per i genitori e prestatori di assistenza. Indicazioni che riguardano principalmente i vari tipi di congedo (parentale, di paternità e di assistenza) e l’implementazione del lavoro flessibile.
Sempre del 2019 è il rapporto “Rebalance” di ETUC (European Trade Union Confederation) volto proprio a indagare le buone prassi adottate per la conciliazione tra tempi di vita e lavoro e le strategie sindacali in questo senso. Lo studio ha coinvolto 10 Stati Membri, compresa l’Italia, ed è stato finanziato dalla stessa Commissione Europea. Infine, sul sito di Eurofound è possibile entrare nel dettaglio e conoscere molte informazioni utili riguardo al vivere e al lavorare in un determinato paese europeo. Troviamo anche la voce “work life balance”, che purtroppo però è aggiornata solo fino al 2016.
I limiti del work life balance europeo
La questione del work life balance è intesa, nella cornice europea, come appannaggio esclusivo di due categorie di lavoratori: i genitori e coloro che hanno responsabilità di assistenza. Di più. Per sostenere questo equilibrio ci si è concentrati solo su due tipi di misure: congedi e lavoro flessibile. Si tratta però di una visione limitata se si considera che anche chi non ha figli o parenti da accudire si trova spesso nella situazione di non riuscire a conciliare tempi di vita e lavoro. Inoltre, come detto all’inizio, l’equilibrio tra questi due aspetti passa attraverso altri fattori, ad esempio il diritto alla disconnessione, diventato più dirimente con il lavoro da casa imposto dal Covid-19. Se ne sta discutendo attualmente al Parlamento europeo: un primo segnale positivo per ampliare la platea degli interessati a tutti i lavoratori affinché possano raggiungere un sano equilibrio tra tempi di vita e di lavoro.
In Italia è anche una questione culturale
Abbiamo già detto rispetto al congedo parentale chi fa meglio (e chi peggio) in Europa. Anche per lo smart working abbiamo avuto modo di approfondire le difficoltà correlate e che riguardano in particolare le PMI. Quello che qui è importante sottolineare è la barriera culturale che certo non gioca a favore di un corretto equilibrio tra tempi di vita e lavoro. Nel già citato rapporto “Rebalance” si dice che “la conciliazione non è un messaggio facile da diffondere nella cultura italiana; un cambio generazionale è nell’aria, tuttavia i giovani padri continuano ad essere scettici rispetto al loro ruolo di cura. Un uomo che si assenta sei mesi dal lavoro per il congedo parentale è visto dalle imprese e dai colleghi come qualcuno a cui non interessa il lavoro e la carriera. La direttiva UE sulla conciliazione è importante per incoraggiare questo cambiamento culturale”. Il rapporto sottolinea anche l’impatto della crisi finanziaria, le misure applicate soprattutto alle PMI e l’assenza di servizi adeguati per l’infanzia e gli anziani. Fattore, quest’ultimo, che impedisce la piena partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Un nuovo punto di partenza
Negli ultimi anni l’Europa ha fatto molto per tutelare i diritti sociali dei suoi cittadini, ma tanto ancora c’è da fare. Soprattutto considerando le specificità dei singoli paesi e le barriere non solo normative ma anche culturali che spesso impediscono la corretta applicazione di quelle che, in linea di principio, sono le indicazioni più appropriate. Per questo è importante che la tappa della Direttiva del 2019, oltre a un punto di arrivo, sia considerata anche un nuovo punto di partenza verso condizioni di lavoro sempre più eque e quindi sempre più improntate al rispetto del work life balance.