A: “Spara! Spostati! Salta! Salta! Muori! BANG!”
B: “E basta! Sempre attaccato a quei giochetti…”
A: “Ehi, sto compilando il 730 non vedi?”
Benvenuti nel magico mondo della gamification (o ludicizzazione se preferite il termine italiano). Il concetto di gamification è entrato nell’uso comune nel 2010 e indica l’applicazione di elementi tipici dei videogiochi (punteggi, badge, avatar, una determinata narrazione) in contesti più o meno seri che con i videogiochi non hanno niente a che fare. A pensarci bene le classiche raccolte punti sono la più antica forma di ludicizzazione: la fedeltà del cliente viene trasformata in un gioco a premi. Non ce ne rendiamo conto ma diverse nostre attività quotidiane si stanno trasformando sempre più in giochi: anche il cashback di stato sottoscritto da milioni di italiani è una specie di gioco, con tanto di estrazione finale. Ci siamo talmente abituati a certe dinamiche che ci sembra normale ricevere bonus, badge o vite extra anche mentre facciamo la spesa o finiamo di compilare il nostro profilo su una piattaforma professionale. Quella barra orizzontale che mostra a che punto di completamento è il nostro profilo di investitori di una qualunque banca online è parente molto vicina della barra del carburante che scendeva inesorabilmente in vecchi videogiochi arcade come Asteroid o Galaga.
E poi basta guardare la schermata del nostro smartphone: le icone delle app sembrano tutte un promettente giochino da cliccare. L’icona della banca è accanto a quella di Candy Crush, quella dello studio medico si confonde con quella di Pokémon GO. E la famigerata Immuni? Si è capito che serve a poco ma quel bel logo cicciotto e quei dottori rosa con la testina piccola piccola sono ancora lì sul nostro telefono, promessa mai mantenuta di trasformare anche la tracciabilità del coronavirus in un avvincente videogioco.