Le videochiamate erano certamente uno strumento molto utilizzato già in passato per organizzare meeting di lavoro. Ma da oltre un anno a questa parte sono diventate una piattaforma fondamentale nella quotidianità di tutti noi, con più momenti della giornata in cui letteralmente invitiamo a casa colleghi e business partner, persone che fino al febbraio 2020 non avremmo mai pensato di ospitare nelle nostre abitazioni: colleghi simpatici, ma anche antipatici, clienti che nel tempo sono diventati amici e clienti con i quali il rapporto è e resterà formale per sempre.
La società di marketing e comunicazione crosscanale XChannel ha condotto un interessante monitoraggio, su più cicli (l’ultimo nel marzo 2021), dedicato alle abitudini in videocall, usando i principi della semiotica e dell’antropologia per indagare su quanto luci, sfondi utilizzati, abbigliamento, siano in grado di svelare sulle nostre personalità. Nell’ultimo anno la larghissima maggioranza del campione analizzato ha variato il suo modo di porsi e di accogliere in casa virtualmente colleghi di lavoro più o meno sconosciuti, definendo senza dubbio un mutamento di costumi in atto.
Oltre all’abbigliamento, cos’è che ci definisce come professionisti e come persone durante le videochiamate? Facile: lo sfondo che utilizziamo. E due terzi degli intervistati ha risposto a riguardo in maniera molto netta: il 66% rende infatti la propria casa un non-luogo, per usare un termine antropologico ideato da Marc Augé. Tra questi, il 19% usa in call uno sfondo opacizzato; il 17% non fa esplorare la propria casa, ma ha un angolo ad hoc fatto di pochi centimetri di abitazione che considera svelabili; il 15% usa uno sfondo finto, di quelli offerti dai software di realtà virtuale (come le spiagge introdotte da Zoom); il 14% ha fatto una scelta ancora più impersonale e neutra e usa un muro bianco (che poi era il bon ton da video call pre-pandemico). Si possono identificare subito i due contrari: ovvero i fan dello sfondo bianco, formale, con tutte le connotazioni ufficiali e quasi liturgiche di questo colore, e quelli dello sfondo da spiaggia, il chiringuito, informale.
A partire da questa relazione di opposizione si può derivare poi quella di due sub-contrari altrettanto tipici: da un lato ci sono le persone che filtrano in maniera un po’ oscurantista il proprio contesto di vita privato, quelli che usano cioè lo sfondo opaco, filtrato, per smussare la personalità di qualunque background abbiano dietro; e dall’altra parte il tipo ad hoc, casual-chic, che è il contrario dell’oscurantismo perché vuole proprio far vedere, anzi, qualcosa di specifico. E, come spiega lo studio di XChannel, “questo apparente groviglio di relazioni logiche identifica una mappa, una topografia del senso, ovvero quattro modi di attribuire valore ai codici che usiamo nel mostrare la nostra casa. Per svelarci agli altri per quello che siamo o che vogliamo comunicare di essere. I tipi conseguenti sono individui molto ben definiti e immediatamente identificabili, che abbiamo tutti incontrato, virtualmente, s’intende, ma non troppo, in questi mesi di lavoro da remoto. D’altra parte è ovvio che tutti questi modelli, questi tipi, siano in costante mutamento”. E d’altronde, sottolinea Federico Corradini, ceo di XChannel, “gli studi come il nostro, che uniscono antropologia e semiotica integrati con assunti quantitativi e dai big data, vogliono proprio indagare su come il lavoro da remoto e il boom di app per la videoconferenza abbiano modificato il nostro modo di apparire per lavorare. E se i mutamenti introdotti siano destinati a essere permanenti o meno anche quando la pandemia sarà finita”.