L’impatto determinato – direttamente e indirettamente – dall’emergenza sanitaria sul mondo del lavoro è stato enorme. Sono cambiati i modelli organizzativi delle aziende, le prassi lavorative quotidiane, le competenze professionali richieste e il tessuto economico e imprenditoriale, nel nostro paese e non solo. Ora ci troviamo di fronte alla sfida, epocale, di rilanciare l’economia, e di gestire una inevitabile e profonda fase di trasformazione da cui non restare schiacciati, dimostrando di essere capaci di cogliere nuove opportunità. Il sistema paese dovrà, per esempio, mostrasi in grado di mettere insieme il meglio del collocamento privato e pubblico, per creare un mercato del lavoro più agile e competitivo.
Le aziende stesse, d’altra parte, stanno affrontando un cambiamento organizzativo che include la trasformazione delle competenze professionali interne e pure dei modelli occupazionali e di business. Aggiungendo che, con lo sblocco dei licenziamenti, il ruolo delle politiche attive e delle sinergie create sarà decisivo, affinché la trasformazione nel mondo del lavoro diventi il punto di partenza per una trasformazione del paese nel suo complesso.
Sono queste le premesse di un dibattito generale, attuale e necessario sul lavoro, così come di una serie di eventi online organizzati dal Sole 24 Ore con ManpowerGroup e LabLaw, a partire da quello d’esordio dello scorso venerdì 16 luglio tutto dedicato alla Lombardia e alle peculiarità del territorio.
Il mondo del lavoro è già in piena trasformazione
La transizione occupazionale è già in atto e si impone da sola. Come ha evidenziato Stefano Scabbio, Presidente Sud Europa di ManpowerGroup, “una prima evidenza è l’accelerazione dei processi di digitalizzazione, che porta a una richiesta di profili professionali in parte nuovi e non facilmente reperibili sul mercato del lavoro”. Un elemento evidenziato anche dall’indagine Talent shortage, targata ManpowerGroup, da cui è emerso che l’85% dei recruiter non riesce a trovare i profili idonei, nonostante gli alti tassi di disoccupazione. Quello che manca in questo momento, è stato detto, è anzitutto una politica attiva del lavoro: “Dobbiamo intraprendere un decisivo cambio di passo su formazione, competenze e servizi per il lavoro, superando le difficoltà di coordinamento fra Stato e Regioni e fra operatori pubblici e privati”, ha ricordato Scabbio, denunciando una visione ancora troppo emergenziale e assistenzialistica che rischia di minare la stabilità del modello.
L’auspicio è che il processo di transizione sia guidato da iniziative di mobilità guidata, di riconversione professionale, di ricollocazione dei lavoratori e di interventi di formazione mirata sulle competenze fondamentali, come il digitale e le meta-competenze soft e trasversali. Altro punto emerso come critico è il Piano nazionale di ripresa e resilienza: “In Italia le risorse dedicate alle politiche giovanili, comprese le politiche attive del lavoro, sono solo 8 miliardi di euro”, ha aggiunto Scabbio, “pochissimo in confronto agli altri paesi europei”. In cifre, la Francia prevede 15 miliardi di euro, metà per le politiche attive del lavoro e metà per la formazione, e in Spagna siamo a circa 22 miliardi, pari al 17,6% del totale delle risorse allocate, da sommare a un piano di formazione sulle nuove competenze focalizzato sui settori chiave del tessuto industriale ed erogato da pochissimi operatori privati su tutto il territorio nazionale. “Una scelta dettata dalla volontà di mantenere un modello coerente ed evitare la dispersione in mille rivoli”, ha concluso Scabbio.
In generale, comunque, non solo la transizione occupazionale indotta dalla pandemia è già abbondantemente in atto, ma se guardata in modo prospettico era iniziata già prima ancora che il Covid-19 esistesse. “La pandemia fa da acceleratore di un cambiamento che era già in corso e che ha rivoluzionato per sempre il mondo del lavoro, in termini di digitalizzazione, competenze e trasformazione del modello organizzativo delle aziende”, ha aggiunto Francesco Rotondi, Managing Partner di LabLaw Studio legale Rotondi & Partners. Sottolineando in particolare che le relazioni industriali possono fare la differenza, in questo momento storico in cui tutti gli stakeholder hanno di fronte grandi responsabilità ma anche altrettanto grandi opportunità.
Ma cosa serve davvero alle aziende? “Riferimenti e competenze altamente specializzate e complesse”, ha chiarito Rotondi, “combinate a un sistema di politiche attive efficace, efficiente e specifico per il settore e il territorio di riferimento”. Tanto in una regione come la Lombardia quanto nel resto d’Italia, dunque, per superare questa fase di transizione occupazionale sarà indispensabile un approccio olistico con sinergie pubblico-privato che garantiscano politiche occupazionali di lungo periodo basate sulla formazione e riqualificazione del personale. “In uno
scenario del lavoro in continua trasformazione, saranno necessari anche interventi normativi che legittimino nuovi modelli di prestazione di lavoro diversi da quelli ordinari”, ha concluso Rotondi,
“come per esempio lo smartworking”.
Come assicurare l’occupabilità di fronte allo spettro dei licenziamenti
Una volta esaurito il blocco dei licenziamenti introdotto con l’emergenza sanitaria, quella che abbiamo davanti è una lunga fase di transizione che metterà le aziende e i lavoratori di fronte a nuove sfide. “Nel mondo industriale, ma anche in quello dei servizi, assisteremo nei prossimi mesi e anni a operazioni di riorganizzazione molto importanti”, ha illustrato Giampiero Castano, consulente esperto di gestione crisi aziendali. “Queste operazioni avranno conseguenze sull’occupazione sia dal punto di vista qualitativo sia quantitativo”.
Segnali che si colgono già ora anche nel caso specifico della Lombardia, dove sta già aumentando il numero di accessi alla legge fallimentare e alle unità che gestiscono le crisi aziendali. “Ci attende un percorso di ripresa vivace, accompagnato però da un processo di gestione delle riorganizzazioni che vedrà alcuni settori in grande difficoltà”, ha aggiunto. Uno scenario in cui la pubblica amministrazione è chiamata a disporre con rapidità ed efficacia le risorse in arrivo da Bruxelles, ma soprattutto a mettere in campo politiche attive per il lavoro. “Sarà cruciale
garantire percorsi di formazione e riqualificazione che siano utili ad assicurare l’occupabilità dei lavoratori più giovani e più anziani, che si trovano ad affrontare fasi di discontinuità occupazionale”, ha sottolineato Castano.
Al momento i numeri paiono ambivalenti, specie in una regione come la Lombardia. “In uno scenario contraddistinto nel corso dell’ultimo anno da una forte perdita di posti di lavoro, l’aumento delle situazioni di crisi è rilevante ma per ora non allarmante, e la Lombardia registra oltre 101mila contratti trasformati da tempo determinato a tempo indeterminato”, ha chiarito Paolo Mora, Direttore generale Formazione e lavoro di Regione Lombardia, parlando di “un segnale d’ottimismo di una parte di imprese lombarde che prevedono opportunità di business e continuano a investire nel capitale umano”. Meno bene, come è facile intuire, stanno invece performando settori come il commercio, il turismo e alcuni comparti della manifattura, come il tessile e calzaturiero che stanno subendo profonde trasformazioni e ristrutturazioni anche dettate da processi di trasformazione digitale. “Per ridurre o colmare il mismatch fra competenze richieste e competenze possedute, dobbiamo dunque rimettere al centro della politica del lavoro la formazione”, ha ribadito Mora.
“Oggi le aziende necessitano di risposte personalizzate e specializzate che solo una rete organizzata, flessibile e orientata al risultato di operatori privati e pubblici possono dare”. Uno scenario nel quale Regione Lombardia, come è stato sottolineato, si sta già muovendo per offrire a lavoratori e aziende un sistema di servizi di qualità e specializzati, offerti da una rete composta da operatori privati e pubblici. Fra questi Formare per assumere, uno strumento che offre percorsi di formazione ai lavoratori e incentivi di assunzione per le imprese fino a un massimo di 12.500 euro a lavoratore.
Segnali di ripresa in un contesto per nulla semplice
La situazione occupazionale della Lombardia fotografata a marzo 2021 corrisponde a circa 190mila occupati in meno rispetto a un anno prima, a pandemia appena iniziata. “Preoccupante è il dato del tasso di occupazione nella fascia compresa tra i 14 e i 24 anni, che raggiunge il valore del 21%”, ha detto Stefano Passerini, Direttore Settore Lavoro, Welfare, e Capitale umano Assolombarda. A dare una misura del significato di questa cifra è il confronto con la regione del Baden- Württemberg (con la quale la Lombardia si confronta storicamente): qui l’occupazione si attesta al 50%. “In questo scenario non facile possiamo però intravedere in Lombardia segnali di ripresa”, ha rimarcato Passerini, “come il fatto che la produzione manifatturiera nel primo trimestre 2021 ha registrato un incremento dell’8,7%”. Sottolineata da tutti i relatori che hanno partecipato all’evento, però, è la necessità di non porre l’attenzione solo al momento contingente che stiamo vivendo, ma di guardare a un orizzonte di lungo periodo, tra investimenti per l’occupazione e percorsi formativi e di riqualificazione che superino la logica del posto fisso. “In questo contesto diventa sempre più urgente riprogettare il mercato del lavoro territoriale lavorando insieme ai sindacati e investendo in strumenti come i fondi interprofessionali per la formazione che possano garantire nel lungo termine l’occupabilità dei lavoratori”, ha concluso Passerini. E la Lombardia intende presentarsi come un grande cantiere aperto per affrontare la transizione in corso.