Il GEI (Indice sull’uguaglianza di genere) è uno strumento sviluppato dall’EIGE (European Institute for Gender Equality) per misurare i progressi dell’uguaglianza di genere in UE. L’indice assegna un punteggio complessivo a ogni singolo paese membro e all’Unione Europea nel suo complesso. Il punteggio si basa su una scala da 1 a 100, dove 1 corrisponde a una totale disparità e 100 alla totale parità. Il punteggio rileva le differenze tra donne e uomini e i livelli di realizzazione in sei aree: lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute, nonché nelle relative sottoaree. Rientrano nell’indice altre due aree che però non incidono sul punteggio finale: disuguaglianze intersezionali e violenza sulle donne. L’area delle disuguaglianze intersezionali mostra come elementi quali disabilità, età, livello di istruzione, paese di nascita e tipo di famiglia si intersecano con il genere per creare percorsi diversi nella vita delle persone. L’area della violenza sulle donne misura e analizza le esperienze di violenza in tale ambito.
La segregazione professionale frena l’uguaglianza di genere
I dati purtroppo non sono incoraggianti: si procede a passo di lumaca con una crescita di appena mezzo punto l’anno. L’Europa ha un punteggio totale di 67,9 su 100, sarebbe a dire che mantenendo questi livelli di crescita bisognerà aspettare altri 60 anni prima di raggiungere una completa parità di genere.
Svezia (83,8) e Danimarca (77,4) restano sul podio, la Francia supera l’Olanda e si aggiudica il terzo posto. Italia, Lussemburgo e Malta hanno guadagnato circa 10 punti dal 2010 mentre Grecia, Ungheria e Romania sono in ritardo rispetto agli altri. Nonostante il 65% di tutti i progressi rilevati dal 2010 sia rappresentato da una maggiore parità di
genere nei processi decisionali, l’area del potere resta quella con il punteggio più basso (53,5). I miglioramenti sono stati maggiori nel settore privato e questo è in gran parte dovuto a un incremento nell’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società. La Francia è l’unico paese ad avere oltre il 40% delle donne nei consigli di amministrazione. Uno dei maggiori problemi che frenano l’uguaglianza di genere è la segregazione nell’istruzione e
nel lavoro. Ovvero un disequilibrio nella concentrazione di donne e uomini in determinate materie o professioni. Dal 2010 a oggi la segregazione è addirittura aumentata, nonostante gli sforzi fatti per affrontare questo problema. Nell’UE solo due posti di lavoro ICT su dieci sono svolti da donne. Nel settore delle cure mancano gli uomini, che rappresentano solo il 15% dei lavoratori nei servizi di assistenza infermieristica, ostetrica e personale nei servizi sanitari.
Digitalizzazione e futuro del lavoro
Nel 2020 il GEI si è concentrato principalmente sugli effetti della digitalizzazione nella vita lavorativa di donne e uomini. Il focus tematico comprende tre aree: utilizzo e sviluppo di competenze e tecnologie digitali; trasformazione digitale del mondo del lavoro e conseguenze più ampie della digitalizzazione per i diritti umani; la violenza contro le donne e le attività di cura. Nonostante non ci siano differenze sostanziali rispetto alle competenze, il divario aumenta quando si guarda alla segregazione in ambito formativo e nel mondo del lavoro. Scienziati e ingegneri in settori ad alta tecnologia sono per l’80% uomini. Percentuali simili si ritrovano tra i laureati e gli specializzati nel settore ICT. Le donne corrono un rischio leggermente maggiore di essere sostituite da robot nei loro posti di lavoro, inoltre sono sottorappresentate nello sviluppo dell’intelligenza artificiale, delle start-up digitali e dei prodotti ad alta tecnologia come veicoli spaziali, fibre ottiche, laser e microchip. Nel complesso, gli uomini dominano lo sviluppo di nuove tecnologie in tutta l’UE.
Il dato più interessante è senz’altro quello che evidenzia come le tradizionali disuguaglianze di genere siano riprodotte anche nelle nuove forme di lavoro organizzato tramite piattaforme online. Ad esempio, è più probabile che gli uomini lavorino nello sviluppo di software o nella consegna di cibo, mentre le donne nella traduzione online o nei servizi domestici.
Italia: punteggio più basso in Europa nel settore del lavoro
Su un totale di 28 paesi (compreso il Regno Unito che durante l’indagine era ancora in UE), l’Italia occupa il 14° posto, dopo Francia, Spagna e Germania, che la distaccano in maniera sostanziale. Il punteggio è di 63,5 (in Spagna è 72) ed è inferiore di 4,4 punti rispetto a quello europeo. Dal 2010 al 2020 ha comunque guadagnato dieci punti e otto posizioni.
Considerando il punteggio di ogni singola area troviamo al primo posto quella della salute (88,4 punti) e quella del denaro (79). Ma se si comparano i punteggi con quelli del 2010 scopriamo che in realtà l’area del denaro è aumentata di appena 0,1 punti in dieci anni e che la sua posizione in classifica non è variata (15° posto).
Purtroppo l’Italia ha il punteggio più basso nel settore del lavoro (63,3 punti) e le disuguaglianze di genere sono più pronunciate nelle aree del tempo (59,3 punti), del potere (48,8 punti) e della conoscenza (61,9 punti). E questo nonostante dal 2010 i miglioramenti netti siano stati proprio nelle aree del potere (+ 23,6 punti) e della conoscenza (+ 8,1 punti).
I miglioramenti nei processi decisionali, sia economici che politici, sono anche e soprattutto la conseguenza dell’introduzione nel 2011 di una quota legislativa del 33 % di donne nei consigli di amministrazione delle società e nel 2017 di una quota legislativa del 40 % per il Parlamento. Persiste la disuguaglianza di genere nella retribuzione e nell’occupazione. La retribuzione media mensile delle donne è di quasi un quinto inferiore rispetto a quella degli uomini. Il tasso di occupazione equivalente a tempo pieno (ETP) è rimasto pressoché invariato per le donne (31 %), mentre è diminuito per gli uomini dal 2010. Nelle coppie con figli questo divario di genere è molto più ampio che nelle coppie senza figli.
Anche il work-life balance presenta un divario non indifferente: è quattro volte più probabile che siano le donne a dedicarsi alla cucina e ai lavori domestici per almeno un’ora al giorno tutti i giorni rispetto agli uomini.
Il quadro è addirittura peggiore quando si guarda al settore TIC e quindi alle possibili conseguenze della digitalizzazione nel divario fra donne e uomini nel mondo del lavoro italiano. Tra coloro che hanno un basso livello di istruzione formale solo il 21% delle donne (contro il 30% degli uomini) va oltre le competenze digitali di base. Tra gli specialisti del settore TIC solo il 15% è donna mentre il divario retributivo aumenta dal 6% (in tutte le professioni) al 15%.
Parità di genere: il mondo del lavoro può fare la differenza
I tiepidi progressi degli ultimi dieci anni e le battute d’arresto dovute alla pandemia, fanno riflettere sulla necessità di agire in maniera più incisiva e concreta. Il mondo del lavoro può fare molto in questo senso, a partire da una digitalizzazione dei processi che non lasci indietro nessuno. Ma non solo. Servono azioni mirate e costanti che facciano della parità un dato di fatto nelle aziende e nei posti di lavoro. Insomma non basta lavorare sull’inclusione esclusivamente con eventi e belle parole, servono i fatti, sostenuti da politiche del lavoro solide e una cultura rinnovata.