L’obbligo del Green pass nei luoghi di lavoro: il dibattito interpretativo

Dal 15 ottobre l’obbligo di Green Pass sarà esteso a 19,4 milioni di lavoratori, che andranno quindi ad aggiungersi ai 3,5 milioni di addetti tra personale scolastico e sanitario per i quali l’obbligo era già previsto.

La nuova norma sarà in vigore fino al 31 dicembre; le persone prive di Green Pass non potranno essere licenziate e neppure sospese dalla loro attività (tranne nelle aziende sotto i 15 dipendenti) ma saranno ritenute assenti ingiustificate e verrà loro sospeso lo stipendio; va inoltre ricordato che essere in possesso della certificazione verde non significa essere vaccinati (poiché la certificazione può essere concessa anche a seguito di un tampone, o a chi ha già avuto il Covid-19). Insomma, una serie di precisazioni non scontate e che potrebbero fare emergere alcune criticità del rapporto tra lavoratori e datori di lavoro.

Ad esempio, come ricorda Pasquale Staropoli, esperto della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, le nuove regole del Green Pass consentono “alle aziende con meno di 15 dipendenti di considerare assente il lavoratore privo di certificazione verde per i primi cinque giorni, e invece di sospenderlo e sostituirlo, dal sesto giorno, con una nuova risorsa in possesso di Green Pass, risorsa assunta con un contratto a tempo determinato della durata massima di dieci giorni rinnovabile una sola volta per altri dieci giorni. Non si capisce la ratio di questa durata massima così breve”, che poteva invece essere estesa fino al 31 dicembre.

C’è poi il tema, più generale, delle modalità con cui il datore di lavoro potrà operare il controllo, anche a campione, del Green Pass: per Staropoli sarebbe auspicabile una verifica quotidiana del codice QR tramite lettore, “e questa sarà probabilmente la modalità più diffusa per testare la validità e la autenticità della certificazione verde. Per le aziende piccole, tuttavia, questa modalità potrebbe comportare aggravi di costi e problemi tecnologici. Una soluzione alternativa, per il datore di lavoro, sarebbe quella di annotare la scadenza del Green Pass di ogni singolo lavoratore. Ma qui si entra nel campo del trattamento dei dati personali, della privacy. E quindi servono delle linee guida specifiche sul punto”.

Come detto, l’obbligo di Green Pass, dal 15 ottobre, si applica “a tutti i lavoratori sul luogo di lavoro, a prescindere dalla professione svolta, dipendente o autonoma. C’è però l’eccezione degli uffici giudiziari, che al momento risulta incomprensibile. Lo smart working”, prosegue Staropoli, “è invece ricompreso nell’obbligo, anche perché i contratti di smart working prevedono una prestazione svolta alcuni giorni a casa e alcuni giorni in presenza”.

In generale, per la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, le nuove regole sul Green Pass non dovrebbero comunque comportare particolari complessità di applicazione, né sono emerse significative tensioni con i sindacati, poiché c’è una legge che norma il tutto, sia in tema di sospensioni per chi è sprovvisto di certificazione verde, sia per le sanzioni pecuniarie nel caso in cui il lavoratore finga di avere un Green Pass valido, o nel caso in cui il datore di lavoro ometta di fare i dovuti controlli.

In punta di diritto, nessun datore di lavoro può obbligare un lavoratore a vaccinarsi, poiché solo la legge può farlo: “Se a seguito della analisi di un medico competente”, commenta Staropoli, “si verifica che la organizzazione del lavoro di una azienda richiede una certa profilassi, tipo vaccino o Green Pass, allora il datore di lavoro può al massimo sospendere il lavoratore dallo stipendio”.

Tuttavia, c’è un dibattito interpretativo, e alcuni studiosi della materia stanno sollevando dubbi.

Innanzitutto, l’obbligo del Green Pass per lavorare non esclude le responsabilità a carico dei datori di lavoro riguardo alla sicurezza nei luoghi di lavoro, perché, come detto, essere in possesso della certificazione verde non vuol dire necessariamente essere vaccinati. A normativa vigente (art. 2087 del Codice civile), e non modificata dal decreto sull’obbligo di Green Pass, il datore di lavoro ha un preciso dovere: tutelare la salute dei propri lavoratori. In una situazione di pandemia, come quella del Covid-19, una fabbrica o un ufficio dove tutti i lavoratori sono vaccinati, realizza o no condizioni di sicurezza maggiori, contro il rischio d’infezione, rispetto a una fabbrica o un ufficio in cui parte dei dipendenti non è vaccinata? Le indicazioni vanno in senso favorevole al vaccino, e il datore di lavoro, perciò, nel rispetto dell’art. 2087 del Codice civile, può e deve chiedere ai dipendenti la vaccinazione. Non farlo, infatti, lo esporrebbe al rischio di rispondere di eventuali danni subiti da chi dovesse infettarsi in azienda.

Un secondo punto di dibattito è relativo al possibile licenziamento del lavoratore che non voglia vaccinarsi. Le nuove norme sul Green Pass, come detto, escludono questa ipotesi, prevedendo, al massimo, una sospensione dallo stipendio fino al 31 dicembre. Tuttavia, in base alla cosiddetta “valutazione dei rischi” che il datore di lavoro deve fare secondo l’articolo 20 del Testo unico sulla sicurezza sul lavoro, ci sono già una serie di imposizioni fatte ai lavoratori, tipo casco, scarpe o lenti protettive, obbligatorie per potere svolgere l’attività in questione.

Potrebbe ricadere in questa fattispecie anche l’obbligatorietà del vaccino per accedere e lavorare in azienda, se dalla valutazione ciò risulta necessario per tutelare la salute dei lavoratori. E il lavoratore non potrebbe opporsi a questa disposizione, pena anche il licenziamento. L’articolo 20 del Testo unico sulla sicurezza sul lavoro, infatti, prevede che “ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”.

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