Perché la realtà virtuale migliora la medicina

La realtà virtuale (VR), con la sua peculiare potenza immersiva abilitata dalla tecnologia, ha applicazioni in tantissimi settori. Il più scontato è forse quello dell’intrattenimento: non a caso questa tecnologia è alla base di tantissimi videogiochi, con l’obiettivo di farli diventare sempre più realistici e coinvolgenti. Tra gli altri ambiti di utilizzo, ci sono l’architettura, ad esempio per la progettazione di edifici complessi, l’arte, per poter ammirare musei e gallerie in maniera più affascinante delle fotografie ma senza doversi spostare, e nello sport, simulando situazioni di gara senza la necessità di avere un campo da gioco completo. Ma insieme a questi celeberrimi esempi delle applicazioni della realtà virtuale, c’è un ambito in cui davvero la tecnologia immersiva farà la differenza: quello medico.

VR e applicazioni in campo sanitario

In linea di principio, la realtà virtuale si basa sulla manipolazione di tre aspetti percettivi: lo spazio, il tempo e le interazioni. Attraverso un utilizzo intelligente di queste tre variabili è possibile creare un senso di tangibilità assolutamente realistico, e far credere alla persona che utilizza il dispositivo di vivere realmente in quel contesto, interagendo con tutto il corpo con la realtà circostante e diventando il principale attore di quella dimensione.

La percezione di essere in un altro mondo, in quel particolare momento, è resa sempre più nitida grazie all’utilizzo di software innovativi e sistemi audio integrati. In ambito medico tutto questo può trovare applicazioni in svariati settori, dalla riabilitazione motoria e cognitiva alla terapia per disturbi di vario genere, fino alla formazione e all’apprendimento da parte del personale sanitario; quindi, impattando direttamente sul lavoro di medici e infermieri.

Grazie agli strumenti high tech, oggi è possibile simulare in tutti i suoi aspetti un intervento chirurgico, analizzando e risolvendo tutti i problemi che si possono creare, senza intervenire direttamente sul corpo della persona. Il modello su cui si svolgono le simulazioni è flessibile, quindi lo si può riadattare in dettaglio secondo le caratteristiche anatomiche del paziente su cui si intende intervenire. È possibile anche sfruttare angoli di visuale non ottenibili in un campo chirurgico tradizionale (in cui si è limitati dalla fisicità del paziente), e perciò prevenire possibili errori dovuti a una mancata visione complessiva dell’area su cui si sta intervenendo.

In questo senso, la realtà virtuale rappresenta un valore molto importante anche per gli studenti o per i medici in fase di formazione: questi hanno la possibilità di assistere in maniera immersiva a un’operazione chirurgica, arrivando poi a simulare loro stessi in prima persona l’intervento. Tralasciando tutti i benefici che un approccio pedagogico nuovo più interattivo e stimolante può apportare a un tirocinante, anche dal punto di vista emotivo, la VR permette al futuro chirurgo di sperimentare la tensione e di imparare a controllarla, con i propri tempi, senza eccessive pressioni, ma soprattutto con la consapevolezza di non mettere davvero a rischio la salute del paziente.

La realtà virtuale distoglie l’attenzione dal dolore

Un’area di applicazione della realtà virtuale meno intuitiva ma altrettanto valida riguarda la gestione del dolore, ossia la capacità di sopportare meglio la sensazione di malessere fisico. Questa tecnologia può agire infatti anche a livello percettivo, modificando lo stato di attenzione, emozione e concentrazione del paziente: per esempio, è stata dimostrata la sua efficacia nel trattamento di pazienti ustionati, per ridurre la sensazione dell’arto fantasma o il fastidio derivante dalla puntura di aghi.

Il tutto avviene grazie al fatto che i pazienti vengono trasportati dalla realtà virtuale in un mondo parallelo, stimolando la corteccia visiva. Una volta ricevuti questi impulsi, il cervello ne risulta profondamente coinvolto e, di fatto, il paziente viene distratto dalla sensazione di dolore. Ciò può funzionare solo se la realtà creata artificialmente è in grado di proporre esperienze realistiche e immersive, tali da coinvolgere l’utente senza distinzioni rilevanti rispetto al mondo fisico.

La desensibilizzazione sistemica e la cura dei disturbi alimentari

La cosiddetta “desensibilizzazione sistemica” è una tipologia di intervento terapeutico utilizzata per la cura dei disturbi d’ansia proprio attraverso l’utilizzo della realtà virtuale. Si tratta di una terapia comportamentale molto efficace per trattare le fobie, che aiuta la persona ad affrontare gradualmente la fonte della paura e dello stato ansioso. Il paziente viene progressivamente esposto allo stimolo fobico, partendo da un’intensità bassa e aumentandola solo quando è in grado di gestire la propria risposta istintiva involontaria. La desensibilizzazione sistemica ha lo scopo di attivare nel paziente una risposta antagonista alla situazione che normalmente genera ansia e paura, attraverso la respirazione profonda o il rilassamento muscolare. In questo modo, si indebolisce il legame tra la reazione d’ansia e lo stimolo. Però è bene precisare che la VR non può e non deve sostituire la terapia, ma può essere uno strumento utile in grado di supportare la figura del terapeuta per il trattamento di alcuni disturbi psicologici.

Recentemente, si è evidenziato come la realtà virtuale possa essere valida anche nel trattamento delle persone che soffrono di disturbi del comportamento alimentare. In particolare, si è visto come sia possibile – attraverso simulazioni 3D – modificare la percezione errata che un paziente ha del proprio corpo. In termini semplici, tramite ambienti virtuali, si riesce a porre a confronto due immagini corporee: una reale ottenuta attraverso la misurazione oggettiva del corpo del paziente e l’altra soggettiva in base a come quest’ultimo si percepisce. Il raffronto tra queste due immagini può avere effetti benefici su disturbi del comportamento alimentare, oltre a favorire l’accettazione del proprio corpo.

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