Il dottorato sull’Intelligenza Artificiale? Una questione nazionale

Promosso dal Ministero dell’Università e della Ricerca, coordinato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e dall’Università di Pisa, sta partendo in queste settimane il primo dottorato nazionale italiano sull’intelligenza artificiale. E in parallelo è al via anche quello dedicato alla sostenibilità. Lo scopo è creare una comunità di giovani ricercatori professionisti del settore, coordinata a livello nazionale e in grado di portare innovazione e strategie vincenti per il futuro dell’Italia e dell’intera Europa. Un’iniziativa che coinvolge già oltre 60 università e centri di ricerca in tutta la nostra penisola, mettendo a disposizione fin dal primo anno oltre 170 borse di studio. Per Linc ne abbiamo discusso con Dino Pedreschi, Professore di informatica, responsabile scientifico dell’Università di Pisa per il dottorato nazionale sull’intelligenza artificiale e membro italiano della Global Partnership on Artificial Intelligence (Gpai).

Dino Pedreschi, da dove parte l’idea di un dottorato nazionale e quando è nato il progetto sull’intelligenza artificiale?

La genesi dell’iniziativa risale a due anni fa, all’autunno del 2019, su impulso del Ministero dell’Università e della ricerca. L’idea di base è partire dalle due tematiche della sostenibilità e dell’intelligenza artificiale, per trasformare un attuale punto di debolezza in uno di forza. In generale, infatti, al momento si evidenzia un deficit di competenze su questi filoni, sia nel mondo del lavoro sia come professionisti della ricerca. Inoltre, c’è una mancanza di talenti e innovatori nell’ambito industriale e nel settore pubblico, dove sappiamo che i temi relativi all’intelligenza artificiale impattano già moltissimo, e saranno sempre più dominanti in futuro. Per colmare questo deficit, si è ritenuta essenziale una terapia d’urto: attraverso un’iniziativa di grande portata come un dottorato coordinato a livello nazionale, potremo essere in grado di immettere massa critica di talenti nel sistema, riorganizzandolo. Grazie a questo percorso sarà possibile formare una classe d’eccellenza di ricercatori e innovatori, con background differenziati, e che porteranno valore nel nostro paese, attraendo nuovi talenti in Italia, anziché fare trasferire all’estero quelli formati da noi, come ancora troppo spesso accade.

Quali sono le caratteristiche peculiari del progetto di dottorato?

La prima novità è ovviamente che il progetto sarà a livello nazionale, e coinvolgerà un vasto gruppo di università e centri di ricerca, creando un processo di aggregazione tra le varie realtà che partecipano. Il programma di lavoro permetterà la formazione di un numero elevato di specialisti del settore, in grado di innescare un significativo cambiamento nell’approccio tecnico e culturale all’intelligenza artificiale. Ogni realtà è coordinata con le altre, per sviluppare una ricerca efficace e condivisa che non si focalizzi solo sul mero aspetto applicativo. Da questo approccio, infatti, ci aspettiamo che emergano sfide per la ricerca, oltre che opportunità di applicazione. Inoltre, viene ribadita l’importanza stessa del fare ricerca, fondamentale per creare nuove tecniche e metodi di lavoro basati sull’intelligenza artificiale. I campi di applicazione sono moltissimi, ma si possono riassumere in 5 aree specifiche: l’innovazione sociale, la salute e le scienze della vita, la sicurezza e la cybersecurity, l’agricoltura e l’ambiente, e infine l’industria 4.0 tra trasformazione digitale e big data. Per ciascuno di questi pillar è stata anche individuata un’università di riferimento: l’Università di Pisa per IA e società, il Politecnico di Torino per IA e industria, l’Università La Sapienza di Roma per IA e sicurezza, l’Università di Napoli Federico II per IA e ambiente-agricoltura e l’Università Campus biomedico di Roma per IA e salute.

Anche se il progetto è ancora in fase di avvio, ci può dare qualche numero sulla sua portata?

Al momento, l’organizzazione del dottorato nazionale sull’intelligenza artificiale è questa: ci sono due enti responsabili coordinatori, l’Università di Pisa e il Consiglio Nazionale delle ricerche (CNR), e in ciascuno è stato individuato un coordinatore scientifico. Il responsabile scientifico per il CNR è Marco Conti. Come già detto, le università capofila del progetto sono cinque, e oltre a queste hanno aderito al progetto altre 61 realtà italiane tra università e centri di ricerca, portando il totale a 66. Si tratta di un coinvolgimento ampio con un valore fondamentale, perché i dottorandi si formano contribuendo direttamente alla ricerca che si fa nei centri che frequentano, e il percorso didattico unisce la parte più teorica con quella pratica e applicativa. In termini economici, l’investimento iniziale del Ministero è di 8 milioni di euro per i primi due cicli: ogni borsa di studio è finanziata al 50% dal Ministero e per l’altra metà dall’università che ospita il dottorando e, di conseguenza, il progetto mobilita complessivamente 16 milioni di euro. Facendo riferimento al solo primo anno, con i corsi in partenza a novembre 2021, sono state già predisposte oltre 170 borse di studio, e si prevede quindi che i dottorandi del primo biennio saranno ben di più dei 200 complessivi previsti inizialmente. Solo a Pisa avremo una cinquantina di dottorandi, con percorsi alle spalle molto differenziati tra informatici, ingegneri, fisici, matematici, economisti, statistici e scienziati sociali, con oltre un terzo di questi donne. Queste persone finiranno il percorso di formazione tra circa tre anni, ma l’auspicio è che nel frattempo i fondi destinati al progetto aumentino e le risorse disponibili permettano di potenziare ulteriormente il dottorato di ricerca, anche perché le tematiche della sostenibilità e dell’intelligenza artificiale – oltre che la promozione di iniziative coordinate a livello nazionale – sono tra gli obiettivi alla base del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Oltre ai primi due cicli di borse di studio, ci aspettiamo che proprio tramite il PNRR arrivino finanziamenti anche per le tre successive.

In che misura le figure professionali formate da questi percorsi sono ricercate nel mondo del lavoro?

Il tipo di formazione necessita di un periodo minimo di almeno 3 anni, proprio per la complessità del percorso di apprendimento. Le figure professionali che ne derivano non sono orientate solo alla ricerca universitaria o al CNR come unici sbocchi lavorativi, proprio perché già ora si percepisce il bisogno di questi professionisti anche nel mondo industriale e nel settore pubblico: sia le grandi organizzazioni di vario genere sia le startup sono concordi nel ritenere essenziali queste professionalità per continuare a innovare. Questa consapevolezza diffusa è emersa in maniera nitida anche attraverso un focus group organizzato dal Ministero: l’atteggiamento delle aziende verso il percorso di dottorato è cambiato molto nell’ultimo periodo, proprio perché la trasformazione è già in atto e si sente la necessità sempre più impellente di competenze complesse e sfaccettate. Il percorso di dottorato, insomma, viene sempre più sentito come un valore aggiunto rilevante. Queste figure professionali sono fondamentali non solo in laboratorio o nelle startup, ma anche nella Pubblica Amministrazione e nelle imprese, per determinare innovazione sociale in parallelo a quella industriale e alla ricerca scientifica tout court. Diventare competenti in sistemi di intelligenza artificiale per questioni applicative e amministrative va oltre la competenza tecnologica in sé, ma richiede di sapersi interfacciare con stakeholder diversi e con competenze varie, mettendo al centro le persone e le problematiche da risolvere.

Che analogie e differenze ci sono tra l’impostazione italiana e quella degli altri paesi?

All’estero non ci sono iniziative analoghe a quella appena introdotta in Italia. In Francia e in Germania, per esempio, sono già previsti piani di sviluppo sull’intelligenza artificiale finanziati con miliardi di euro e che includono posizioni di dottorato e professori specializzati, ma nessuno aveva ancora pensato a un dottorato organizzato e coordinato a livello nazionale. Per una volta è l’Italia a innovare e a fare da apripista in questo settore, ma sia Francia sia Germania hanno mostrato apprezzamento per il progetto, tanto che si sta già lavorando ad accordi di collaborazione. Anche in Italia, comunque, resta molto da fare: il governo sta lavorando ad una strategia efficace per l’intelligenza artificiale, con un coordinamento interministeriale. Il progetto di dottorato nazionale in questo senso ha una grande importanza, perché pone le basi per i futuri processi di innovazione: se verrà portato a compimento bene quanto speriamo, potrà avere un impatto decisivo nel giro di pochi anni, sia sull’università sia sull’industria del nostro paese.

Se parliamo di intelligenza artificiale e mondo del lavoro, quali sono le prossime sfide da affrontare?

Di intelligenza artificiale si parla tanto in questo momento soprattutto perché negli ultimi dieci anni c’è stato, grazie ai big data e alla scienza dei dati, un balzo in avanti sulla nostra capacità di sfruttare le informazioni digitali. Per esempio, ora è possibile tradurre automaticamente un testo, capire il contenuto di un video o guidare un’auto in maniera sempre più automatizzata. L’intelligenza artificiale è in grado di aiutare i medici a fare diagnosi e prendere decisioni sotto pressione, oppure di supportare i giudici in tribunale per risolvere problematiche legali controverse. Tutto questo da un lato mostra il valore e la potenza dei sistemi ad alta tecnologia, ma dall’altro apre la porta a sfide molto significative legate all’etica, alle possibili discriminazioni e più in generale al problema della collaborazione tra persone e macchine intelligenti. Ecco perché il dottorato nazionale in intelligenza artificiale non è un percorso centrato solo sulla tecnologia, ma una visione del tema a tutto tondo, con le persone al centro.

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