In Italia, il gruppo Deutsche Bank ha circa 3.600 dipendenti e, nei primi otto mesi del 2021 sono state assunte oltre 100 persone. “In generale, cerchiamo risorse flessibili e capaci: i lavori di back office ripetitivi, sono a rischio. Meglio quelli di consulenza, analisi dati, rapporti con la clientela ed i professionisti esperti di prodotto. In particolare”, sottolinea Carlos Gonzaga, HR Director di Deutsche Bank Italia, “guardiamo ai laureati in Economia e in Giurisprudenza, soprattutto per tutte quelle funzioni regolatorie che hanno preso sempre più spazio nel settore bancario. Ricerchiamo pure quegli ingegneri che possiedono una mentalità quantitativa, ma con una componente relazionale. Tutto ciò, ovviamente, vale per le funzioni della banca commerciale tradizionale. Quest’ultima, infatti, sta vivendo una vera e propria rivoluzione; mentre il comparto dell’investment banking non è cambiato molto”.
C’è poi una figura professionale nuova, sul cui sviluppo Deutsche Bank punterà, quella del Disability Manager. La Fondazione Deutsche Bank Italia, che contribuisce alla cultura, diffusione e formazione in ambito di inclusione e disabilità, sostiene il costo di alcune iscrizioni al Corso di formazione continua “Disability manager e mondo del lavoro” dell’Università Cattolica di Milano, attraverso una borsa di studio, pari a circa 20mila euro complessivi, da distribuirsi fra le due sessioni annuali del 2021 e del 2022.
Come state lavorando, internamente, a questo progetto?
Il Corso di formazione sostenuto da Fondazione è già partito. Internamente lavoreremo assieme ai colleghi disabili, perché ogni iniziativa su questi temi non deve cadere dall’alto, ma va pensata insieme con loro in una logica di inclusività. In Deutsche Bank, tutte le persone devono sentirsi bene e lavorare in armonia con gli altri. Stiamo assistendo ad un diffuso cambio di mentalità: basti vedere l’interesse per i Giochi Paralimpici di Tokyo, interesse che una volta non c’era. Più in generale, sulla diversità facciamo tante iniziative, abbiamo gruppi che seguono i temi LGBTQ+, gender e inclusività. Ad esempio, per noi il partner è da anni parificato e incluso, ha diritto alla polizza assicurativa, possiede tutti i benefici del coniuge, ed esiste già il permesso matrimoniale, anche per le unioni civili. Inoltre, nei corsi di formazione stiamo lavorando sulla tipologia di termini che non andrebbero utilizzati, parole magari dette senza malizia, ma che posso urtare la sensibilità delle persone.
Lei prima parlava di una rivoluzione della banca commerciale. In quali particolari settori avviene ciò?
Nella rete delle agenzie c’è stato, c’è e ci sarà il cambio più radicale. Ovviamente la figura del cassiere è in via di progressiva estinzione, non ha più un’aspettativa di vita lavorativa lunga. Ma noi, in verità, non abbiamo mai assunto nessuno per fare solo in cassiere. Noi assumiamo giovani laureati, benché magari un tempo il cassiere era un punto di ingresso per una carriera bancaria. Si poteva prevedere e stabilire che si poteva cominciare come cassiere, poi come consulente, quindi ci si occupava di aziende, si diventava capo sportello ed infine capo filiale. Attraverso un percorso lineare. Oggi, invece, è impossibile ipotizzare percorsi predefiniti, per professioni che nella prospettiva di 5 anni non saremmo nemmeno in grado di prevedere. Pertanto, noi dobbiamo essere capaci di dare e creare opportunità per persone competenti, con spirito di adattamento, capacità di apprendimento e che sappiano mettersi in gioco in maniera proattiva.
E la selezione come avviene?
Il nostro sistema in Deutsche Bank prevede da sempre il fatto che non si assume sulla base di test che valutino solo il grado di istruzione dei candidati. Quella la si dà già per acquisita perché si parte da una valutazione preventiva dei curricula. Noi proponiamo invece dei test sulle capacità di apprendimento e di sviluppo relazionale delle persone: qualità fondamentali per la consulenza al cliente, non solo in presenza ma anche da remoto.
Il lavoro da remoto, in cui quasi tutte persone, ha influito riguardo la maggiore produttività rispetto alla presenza in ufficio. Questo ha creato delle pericolose situazioni di burnout?
La pandemia ci ha insegnato che ci sono molte cose che si possono fare bene, anche stando da remoto. Chi ha lavorato molto da casa, senza mai uno stacco fisico tra lavoro e momenti personali, si è effettivamente stancato. Il solo fatto di uscire per andare in ufficio crea comunque un momento di discontinuità tra ufficio e casa. Quindi è giusto riappropriarsi del tempo e degli spazi del lavoro, separati dai momenti personali. Qualcuno, però, si è abituato a non venire più in ufficio, con un “effetto grotta” che personalmente non ritengo positivo. Anche le grandi banche americane, dopo un primo momento in cui credevano di poter vendere tutti i loro uffici di Manhattan e riorganizzarsi solo in modalità smart working, ora ci stanno ripensando. L’ufficio è un luogo di scambio di idee: il solo ascoltare la telefonata di un collega fa apprendere, in quelle parole c’è l’esperienza, così come nei discorsi dei colleghi alla macchinetta del caffè. Il lavoro da remoto (cinque giorni su cinque), secondo me, prevede un impatto non positivo sulla produttività. Noi siamo molto soddisfatti di come abbiamo affrontato l’emergenza. Ma ritengo che un equilibrio tra casa e ufficio faccia, quello sì, aumentare la produttività.
Quindi come sarà la “nuova normalità” in Deutsche Bank?
Senza obbligo, ma sarà possibile lavorare da casa due giorni a settimana. Si dovrà venire in ufficio almeno tre giorni, per imparare, vedere e vivere l’azienda. Ovviamente gestiremo gli uffici in maniera diversa; infatti, sta per partire una grossa ristrutturazione del Quartier Generale di Milano. Ci si potrà sedere dove capita, con grandi spazi di socializzazione.
Ma al momento come siete organizzati?
A settembre, nel Quartier Generale siamo ancora al 25-30% delle risorse in presenza, ma potremmo arrivare fino a un massimo del 50%. Deutsche Bank è molto attenta e non abbiamo intenzione di forzare nessuno. Nel frattempo, come dicevo, abbiamo già predisposto i nuovi contratti di lavoro per chi vuole restare due giorni a casa anche fuori dalla emergenza. Le retribuzioni non saranno toccate.
Qualcuno dice che le aziende spingono sullo smart working, perché hanno capito che in questo modo possono risparmiare sui costi fissi degli Headquarters, riducendo i metri quadrati. È così?
Assolutamente no. Non sarà un esercizio per risparmiare metri quadrati, anche perché le persone non saranno obbligate a rimanere a casa, tutto è su base volontaria. Hai diritto a stare a casa due giorni a settimana, ma se vuoi venire in ufficio tutti i giorni, puoi farlo. In questi lunghi mesi di pandemia le aziende non hanno risparmiato nulla, i metri quadrati sono rimasti gli stessi, e i costi di luce e riscaldamento non sono cambiati. Di sicuro non si lavora da casa per risparmiare sui metri quadrati. Poi magari accadrà che si ridurranno, ma al momento dobbiamo vedere come sarà la nuova normalità, quante persone vorranno restare a casa, quante no. Ripeto, nessuno sarà costretto, e non chiederemo a nessuno di domandare il permesso per venire a lavorare. La riduzione degli spazi non deve essere connessa al lavoro da remoto. Forse, sarà un passo successivo e progressivo. Già prima della Pandemia in Deutsche Bank c’erano 200 colleghi che lavoravano da casa un giorno a settimana.
Secondo lei quale è la soft skill più importante?
La capacità di ascolto. Sia verso l’interno, sia verso il cliente. Puoi anche avere in corso una campagna di vendita, ma al cliente non devi vendere per forza qualcosa: hai una gamma dalla A alla L e, tra questi prodotti, ascoltandolo, puoi vendere il prodotto giusto. Ma solo dopo averlo ascoltato.
I piani welfare di Deutsche Bank?
Beh, il fondo pensione di Deutsche Bank risale al 1950: ci sono copertura sanitaria, piattaforma welfare per avere servizi, attività ricreative, supporto scolastico ai figli. Per ora abbiamo lasciato i buoni pasto a tutti. Ma, nella nuova normalità resteranno solo quando si viene in ufficio, non quando si resta a casa. Lo sviluppo delle piattaforme welfare, comunque, dipende molto dai benefici fiscali connessi.