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Smart community: storie di un lavoro agile

Scritto da Corinne Corci | 10/02/22 11.00

Le nostre case con la pandemia si sono trasformate in ufficio, facendoci rivalutare il significato di “casa”, rivedere la concezione degli spazi e il loro utilizzo. Con le sue fotografie, Claudia Ferri coglie l’essenza di questa riconversione e del nuovo volto delle nostre case, raccontando così le storie di una smart community. 

Francesca e Aldo Pasca

Francesca e Aldo preferiscono chiamarlo “lavoro agile”. Operano entrambi nel mondo della consulenza e, dall’avvento della pandemia, hanno vissuto giornate particolarmente intense. A volte si comunicavano le possibili pause via chat, da una stanza all’altra della loro casa. «Eravamo attrezzati però, proprio perché già prima della pandemia svolgevamo le nostre attività conoscendo principi e metodologie di questo modo di operare». 

Ma non tutti hanno avuto la loro stessa fortuna. Nonostante moltissime aziende italiane e non solo abbiano scelto, più o meno forzatamente, lo smart working, ritrovarsi a lavorare da casa è stata per molti una novità che hanno dovuto trasformare in abitudine. È così che gli smart worker sono diventati una vera e propria smart community. 

In origine fu il “telelavoro”. Nel 1985 i media mainstream usavano frasi come «il crescente movimento del telelavoro». Persino l’economista e saggista Peter Drucker, il guru del management, dichiarò nel 1989 che «il pendolarismo per il lavoro d’ufficio è obsoleto. Possiamo rimanere in casa». 

Certo, il telelavoro era un’innovazione guidata dalla tecnologia, e ora c’è una nuova contingenza, tutto si è modificato in maniera ancora diversa.

«Vivremo sempre più un “luogo di lavoro” fatto necessariamente di presenza e di virtuale, in cui dovremo saper navigare in una dimensione ibrida», continua Francesca Pasca, che si occupa proprio di change management (è cofondatrice di Smartive, compagnia dedicata alla trasformazione digitale). «Ci relazioneremo e utilizzeremo creatività e capacità di progettazione nei luoghi fisici. Collaboreremo e svilupperemo utilizzando luoghi virtuali e svolgeremo una parte del nostro lavoro disconnessi e concentrati. Dovremo imparare il significato di focus… e forse finalmente impareremo a utilizzare il sistema di notifiche per diminuire tutti i segnali di disturbo che ci portano a diluire la nostra produttività». 

Prontuario dello smart worker, una guida pratica: in primo luogo, se vivi da solo, concediti dei momenti di pausa che ti ricordino che esisti. Se abiti con qualcuno accertati che abbia la webcam spenta quando passi alle sue spalle per dirigerti in cucina (soprattutto se indossi solo le mutande). E se hai figli, va beh, rassegnati.

A questo proposito basterebbe ricordarsi uno dei video più virali degli ultimi anni. Il professore serissimo, intento a spiegare la crisi politica della Corea del Sud sulla BBC in collegamento da Busan, interrotto dai suoi due figli piccoli scatenati, prontamente recuperati dalla moglie. Tutto in diretta video, con il compassato presentatore che non poteva fare a meno di ridere.

Non sono mancate infatti le difficoltà. Come la conciliazione tra tempi di lavoro e famiglia, la gestione della didattica a distanza per chi ha figli, oltre che l’adeguamento degli spazi abitativi.

«In realtà la nostra casa si è rivelata a prova di smart working», prosegue Francesca. «Ciascuno aveva il proprio spazio ma all’occorrenza anche la flessibilità nell’alternarsi per avere il giusto “set” a seconda delle esigenze. Per esempio, per me alle riunioni si sono alternati eventi in diretta streaming e per questioni di luce e di segnale ho occupato il nostro soggiorno creando un vero e proprio palco digitale, di cui ho beneficiato per alcuni kick-off formali anche io!», aggiunge Aldo Pasca, ingegnere informatico. «Abbiamo fatto qualche acquisto come uno schermo più ampio da collegare ai nostri laptop, anche in considerazione delle tante ore davanti ai display e una “wellness ball active sitting”». 

Monica Cammarano

Più facile, per quanti vivono da soli come Monica Cammarano, Head of People Experience a Intesa Sanpaolo, che ha sperimentato lo smart working sia a Milano che a Londra. «Vivere da sola e poter sfruttare diversi ambienti di casa mi ha sicuramente agevolato rispetto a situazioni di colleghi con conviventi/famiglia e bambini, in quanto ero “gestore” del mio tempo e dei miei spazi, del mio “home office”. Penso che se nel nostro lavoro sentiamo la vibrazione di noi stessi, la perfetta realizzazione di noi stessi, allora naturalmente, spesso senza accorgercene, troveremo un nuovo modo di lavorare e potenziare il valore nascosto delle relazioni d’ufficio, indipendentemente dalla città in cui ci si trova».

Timothy Small

Questa situazione ha acuito la percezione della casa come elemento irrinunciabile di sicurezza, che doveva restituire a chi vi abitava e vi abita la maggior idea di comfort e benessere possibile. Un elemento che è passato anche attraverso gli animali. «Peccato non esista in italiano quella differente terminologia per indicare la casa che invece esiste in inglese», racconta Timothy Small, da febbraio 2020 direttore creativo di Ready2Fly, agenzia digitale di FSB Group e di Take Off, dedicata al mondo della produzione di contenuti video per il digital. «Se ci fosse, per me la distinzione sarebbe che nella home c’è un gatto e nella house no. Penso che per tutte le persone che amano la casa per viverla e non come oggetto freddo di design, il gatto, ma in generale l’animale domestico, esprime questa idea. È “l’anima della casa”». 

Ghila Valabrega

Per molti non sono mancate le difficoltà, come per Ghila Valabrega, writer/director che ha aperto la casa di produzione Ananim productions nel 2015. «In Italia ho sempre fatto un po’ il jolly. Mi occupo dal concept development alla direzione artistica (scenografia, costumi e location) illustrazione e grafica, ovviamente mettendo insieme un team per portare a casa il progetto, di qualunque natura sia. Per questo la pandemia mi ha sconvolta e mi sono trovata impreparata essendo una sorta di nomade, senza fissa dimora, da ben due anni. In attesa della casa nuova sono rimbalzata da casa della mia ragazza a casa dei miei [dove sono state scattate le foto, nda]. Accumulando però nel mentre mobili e oggettistica in vista della nuova casa».

Ma mentre la pandemia ha portato lei come molti altri freelance dall’essere dei globe trotter a «pantofolai eremiti», ha reso quei lavoratori come Ghila nuovamente elastici. «Nel mio caso facendomi switchare da produzioni video alla grafica, illustrazione e animazione, essendo tutte cose che potevo fare a distanza senza coinvolgere né attori né un team».

Sperimentare nuove strade, individuare soluzioni diverse spesso innovative, con la consapevolezza che, nonostante sia cambiato il modo di comunicare con capi e colleghi, «non è necessario essere in ufficio sempre» continua Timothy, «questa è una delle cose fondamentali che abbiamo imparato».