Are you still there? Cioè sei ancora connesso? Sei ancora lì? È un messaggio che abbiamo imparato a conoscere nelle abbuffate di film e serie tv perché è ciò che ci ricorda furbescamente Netflix quando facciamo binge watching, ossia quando guardiamo programmi e serie tv per un periodo di tempo prolungato e in modo consecutivo, senza soste. Ma dietro quella domanda, apparentemente semplice da comprendere, c’è un sofisticato approccio che si basa sull’ascolto, sull’interazione, sull’analisi dei dati, su una leva straordinariamente rilevante come quella dell’engagement, ossia dell’ingaggio e quindi del coinvolgimento. In un mondo perennemente connesso e distratto da mille stimoli visivi e uditivi, segnali digitali spesso anche discordanti e ambigui in un continuo rumore di fondo, vincere la battaglia dell’attenzione diventa essenziale. E tutto ciò lo si può fare solo mettendosi in ascolto attivo e utilizzando moderne tecniche che partono dall’analisi dei dati.
Dimissioni di massa, ascolto individuale
Allora facciamo un passo in avanti e dalle tecniche di engagement di Netflix, piattaforma di distribuzione via internet che ha raggiunto nel 2021 la cifra record di 221 milioni di abbonati con una crescita tra ottobre e dicembre dello scorso anno di 8,3 milioni di abbonati, ci spostiamo al mondo delle organizzazioni, ponendoci un’altra domanda. E se le aziende – grandi o piccole che siano, di ogni comparto e a qualsiasi latitudine e longitudine si trovino – imparassero per davvero a chiedere alle proprie persone esattamente se sono ancora connesse? Può sembrare una banalità, quasi una provocazione, ma questa potrebbe essere la chiave per comprendere quel fenomeno contemporaneo, globale e anagraficamente trasversale noto come Great Resignation. Si tratta delle grandi dimissioni di massa che stanno imperversando un po’ ovunque in tutto il mondo. Un concetto americano, entrato prepotentemente e rapidamente nel nostro vocabolario. Secondo gli economisti della Federal Reserve Bank of St. Louis 2,4 milioni di americani hanno scelto di dimettersi prima di aver maturato i requisiti per andare in pensione. Un fenomeno a cui si accompagna un mercato del lavoro dinamico, con molte posizioni aperte (10,6 milioni a novembre 2021, +50% su gennaio 2020), e una crescita sostenuta dei salari (+4,7% a dicembre 2021 sull’anno prima). Dall’America all’Europa, dalle grandi realtà al tessuto produttivo delle piccole e medie imprese. L’HR Study 2022, condotto a febbraio di quest’anno su un campione di 5.000 dipendenti e di 1.205 persone di HR operanti nelle PMI di tutta Europa, ha evidenziato come quasi la metà dei dipendenti abbia in programma di cercare un nuovo lavoro nei prossimi dodici mesi. Precisamente si tratta del 46% del campione. Secondo lo studio le persone tendono a lasciare il lavoro per motivi legati alla sfera personale: il 32% per un ambiente stressante, il 31% perché non si sente gratificato o ascoltato, il 30% perché vede poche opportunità di avanzamento di carriera. Così in un momento storico disorientante, segnato da un’emergenza pandemica che dopo due anni fatica ad allontanarsi e da una guerra nel cuore dell’Europa, le persone hanno bisogno di bussole per orientarsi. E allora forse la sfida è mettersi in ascolto, elemento cardine del marketing contemporaneo.
La risposta delle aziende
Ci stanno provando le organizzazioni. Amazon ha dato ai propri dipendenti un bonus di 3.000 dollari per il Natale 2021. Walmart, colosso americano della grande distribuzione, a settembre ha aumentato il salario minimo a 12 dollari all’ora, sopra l’asticella federale di 7,25 dollari. Hermès da poco ha distribuito un aumento di 3.000 euro al mese per i suoi 17.000 dipendenti nel mondo. Meccanismi di attraction. «Emerge però che la maggior parte dei lavoratori cerchino uno scopo in quello che fa, connessioni interpersonali con i colleghi e con i manager e soprattutto relazioni, non transazioni», come ha scritto Michele Zaccardi su Forbes, segnalando la mappatura realizzata dall’Oliver Wyman Forum, centro di ricerca che si occupa di business e politiche pubbliche. In fono la pandemia ha cambiato irrevocabilmente ciò che le persone si aspettano dal lavoro, concludono i ricercatori. Ma c’è un’azienda che più di altre sta provando a cambiare lo stato delle cose, partendo non tanto dalle retribuzioni e quindi dall’aumento in busta paga, quanto piuttosto dall’ascolto. McEntire Produce, azienda nata nel lontano 1938 e impegnata del settore alimentare con 600 dipendenti e 170 milioni di dollari di fatturato, da poco ha deciso di assumere un manager con un obiettivo nuovo e sfidante: persuadere i dipendenti a non licenziarsi. Si tratta di una nuova figura professionale che si mette in ascolto per intercettare bisogni emergenti, creare un ambiente confortevole, misurare il sentiment aziendale e in fondo ridurre le dimissioni di massa. E allora se la soluzione fosse mettersi davvero in ascolto, magari con modelli che integrano l’analisi dei dati – come quelli adottati nel business model di casa Netflix – uniti con le soft skill che aiutano a leggere i segnali deboli che arrivano dalle persone? Una domanda alla quale ha provato a rispondere pochi mesi fa anche Ian Cook sull’Harvard Business Review. «I datori di lavoro devono adottare un approccio basato sui dati per migliorare il rapporto con i propri dipendenti per determinare non soltanto il rischio di turnover, ma anche le cause che portano all’abbandono del posto di lavoro e i rimedi per prevenire questo rischio. I numeri appariranno diversi da ogni organizzazione, ma presupporranno poi la capacità di sviluppare specifici programmi di fidelizzazione. Un ascolto fatto di azioni studiate su misura», precisa Cook. Passare quindi dalla mera narrazione, spesso autoreferenziale, ad una autentica relazione. Nel tempo segnato dall’era conversazionale per le aziende tutto questo è un passaggio urgente e necessario da fare.