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L’evolversi del lavoro: la visione di Anna Gionfriddo

Scritto da Redazione di LinC | 21/06/22 17.04

Da aprile 2022, Anna Gionfriddo è la nuova Amministratrice Delegata di ManpowerGroup Italia, dopo aver ricoperto diverse cariche dirigenziali all’interno del gruppo nel quale è entrata nel 2015. È stata infatti Branch Network Director e Manpower Brand Italy Director. LINC Magazine l’ha intervistata, tentando di capire come si evolverà il mondo del lavoro nel prossimo futuro. Da un osservatorio privilegiato come il suo, ci ha offerto una prospettiva puntuale e aggiornata circa le ultime tendenze: il mercato è ad un punto di svolta, i profili occupazionali si stanno evolvendo così come le esigenze dei lavoratori. Servono visione d’insieme, capacità di previsione e volontà di innovare.

Quali sono le caratteristiche necessarie per ricoprire un ruolo di leadership?

«Ci vuole secondo me tanta determinazione, perché credo che questa sia una caratteristica veramente imprescindibile per un ruolo di responsabilità. Per un ruolo come questo, all’interno di una multinazionale americana, è proprio la base. Serve determinazione nel voler costruire un percorso, perché è evidente che non è qualcosa che si può raggiungere dall’oggi al domani. Aggiungerei anche spirito di sacrificio, tanta energia e tanta passione: ti deve proprio piacere quello che fai. Il mondo delle risorse umane mi è sempre piaciuto e mi ha sempre affascinato. L’altro suggerimento che mi sento di dare è quello di seguire un certo l’istinto, la passione che emerge dal confronto, dalle diverse esperienze».

È entrata nel Gruppo del 2015. In quasi otto anni chiaramente il mondo del lavoro ha conosciuto notevoli cambiamenti, non ultimi quelli derivati dalla pandemia. Quali sono le sfide a cui andiamo incontro?

«È un mondo in profonda trasformazione, legata a sfide importanti che abbiamo come Paese, una su tutte la sfida della trasformazione digitale. Segue poi la sfida della competitività: cosa deve fare il nostro paese per rimanere competitivo nei confronti dell’Europa e in questi scenari macroeconomici e politici, pensiamo solo al conflitto in Ucraina. Il nostro gruppo ha una forte responsabilità nel mondo del lavoro in Italia e quindi dobbiamo dare un contributo importante di fronte a questi cambiamenti. Dobbiamo avere una visione di insieme, di medio-lungo periodo: la sfida importante della nostra azienda, mia e delle persone che lavorano con me – 2200 persone – è questa. Le competenze richieste oggi non sono le stesse che verranno richieste fra tre, cinque anni e quindi questa visione d’insieme deve guardare al presente e allo stesso tempo essere in grado di proiettarci anche nel futuro».

Grazie al MEOS, le Previsioni ManpowerGroup sull’Occupazione, offrite ogni trimestre un osservatorio privilegiato sull’occupazione sia a livello mondiale che in Italia. A tal proposito, a marzo 2022 abbiamo conosciuto un aumento record dell’inflazione, non si toccavano certi numeri dal 1991, e se l’inflazione aumenta la disoccupazione in teoria dovrebbe scendere. Quali sono i dati registrati dalla vostra indagine e le previsioni per il futuro? In Italia crescerà la domanda anche di personale qualificato?

«Il MEOS, secondo me, è una delle nostre ricerche più interessanti. La nostra azienda, proprio per cercare di avere sempre questa visione d’insieme, lavora moltissimo su queste analisi, su questo studio di trend, di settore a breve, medio e lungo periodo. Per esempio, il MEOS in Italia fornisce due dati molto interessanti. Il primo, di brevissimo periodo, mostra che c’è una buona crescita di domanda di job position – di offerte di lavoro quindi – per il terzo quarter: visto lo scenario – l’inflazione, il conflitto in Ucraina, la crisi energetica, la coda della pandemia – vedere che c’è una previsione di crescita delle opportunità di lavoro in doppia cifra (più del 20%) è secondo me un segnale importante per un sistema Italia che da un lato non è in una situazione semplice, dall’altro lato ha difficoltà oggettive che si trascina da tanti anni. Il secondo dato che un po’ ci preoccupa – sul quale veramente dovremmo interrogarci tutti, noi come operatori in primis e la parte politica – è quello del talent shortage: si evidenzia ancora una volta che l’Italia è tra i paesi a livello mondiale che rileva il più alto talent shortage, una carenza di talenti dichiarata dal 72% delle aziende».

Da 18 anni ManpowerGroup è presente al World Economic Forum Summit di Davos con i propri insight e dati sul mercato e il futuro del lavoro. Di cosa si è parlato quest’anno relativamente al mondo del lavoro, quali topics principali e quali temi ha portato ManpowerGroup?

«I temi che abbiamo portato quest’anno sono legati al lavoro, allo shortage di talenti, alle competenze richieste dal mercato del lavoro nei prossimi cinque anni. Abbiamo cercato di dare anche qui spunti predittivi, per aiutare tutto il sistema a visualizzare che cosa potrà avvenire, quali saranno le competenze richieste nei prossimi cinque anni. Un tema importante che è emerso al WEF riguarda l’occupazione femminile – su cui la nostra azienda ha una forte attenzione, sia a livello italiano, sia a livello globale – che ha sofferto di più durante la pandemia. Poi c’è tutto il tema legato alla sostenibilità, agli ESG: nel Forum abbiamo dato risalto alla “esse” di “sociale”, che per noi assume la dimensione della sostenibilità del lavoro, legata alle persone, al tema economico». 

Quali sono le competenze che vengono richieste alle persone nel mercato del lavoro odierno?

«Oggi ci sono professionalità che quando mi sono laureata non esistevano, e quindi fra cinque anni ci saranno professionalità che oggi non immaginiamo. Dai nostri studi, più dell’80% delle attuali professioni cambieranno, si fonderanno, si ibrideranno o si specializzeranno ulteriormente. Alla base di tutto ci sarà una forte competenza digitale, che si accompagnerà ad un concetto di learnability continuo – tema su cui insistiamo da tanti anni – legato a questa esigenza di upskilling e reskilling costante. Le cosiddette competenze soft si confermeranno preponderanti e avranno un peso sempre più determinante: le competenze hard, centrali per alcune professionalità, senza uno skill set di competenze soft rimarranno sempre fini a sé stesse».

La pandemia come dicevamo ha portato inevitabili cambiamenti, prima fra tutte la modalità di lavoro da remoto che si aggiunge a un generale ribilanciamento degli equilibri vita privata/lavoro. Come sta affrontando e affronterà ManpowerGroup questi cambiamenti?

«Una delle conseguenze della pandemia negli Stati Uniti e ora anche in Europa è il cosiddetto fenomeno della Great Resignation, le grandi dimissioni: è un tema rilevante, emerso anche al WEF, la volontà di trovare un equilibrio, un work-life balance diverso. La ricerca di opportunità differenti nel mondo del lavoro è qualcosa su cui noi dovremmo sicuramente confrontarci: a differenza di molti, io credo che non sia negativa. I datori di lavoro – dalla prospettiva di ManpowerGroup, penso ai nostri clienti – devono essere consapevoli di questo e l’offerta di lavoro per attrarre, trattenere e mantenere i propri talenti non può più essere solo un’offerta in cui ciò che conta è solo l’increasing di RAL. Oggi questo deve essere accompagnato da un pacchetto di welfare, di hybrid working che preveda magari anche attività di caring verso i propri figli o verso i propri genitori

Esiste però in parallelo una questione diversa e la illustro facendo riferimento al settore HORECA, uno dei più importanti per il Pil italiano e che è ripartito in maniera importante in questi ultimi mesi. In questo momento è diventato complicato trovare le persone, anche per il weekend. Ci sono anche altri ambiti in cui l’offerta di lavoro è importante, come quello civile, costruzioni, fibra ottica: tutte opportunità di lavoro che prevedono formazione, che fornisce alle persone la possibilità di stabilità, perché sono professionalità poco presenti e che possono garantire per molti anni – grazie anche agli investimenti del PNRR – opportunità in tutto il territorio nazionale. Per tutti questi settori dobbiamo interrogarci sull’aprire le nostre frontiere al lavoro, il tema migratorio deve essere affrontato e il sistema italiano può fare molto perché si possano coprire queste posizioni e allo stesso tempo offrire opportunità di lavoro».

Anche l’ambito HR è profondamente mutato. È stato in qualche modo necessario ripensare all’attività stessa di recruitment. Con i progressi nei campi dell’innovazione e della tecnologia cosa ci dobbiamo aspettare da questo settore? 

«L’innovazione digitale è una delle sfide del sistema Italia e quindi lo è anche per noi. La tecnologia ci aiuta a differenziare il processo di selezione dei candidati, offrendo una candidate experience interessante, da come sono arrivati sul nostro sito a come hanno affrontato i colloqui con i nostri recruiter. Attrarre il candidato e valutarlo, anche per far fronte al talent shortage, sono le leve fondamentali».

Numerosi studi confermano che un alto tasso di diversità e inclusione nelle aziende è associato a un incremento della produttività, dell’innovazione e delle prestazioni. In Italia però c’è ancora tanto da fare. Quali potrebbero essere le best practices per migliorare la Diversity & Inclusion? E cosa fa ManpowerGroup?

«Per la nostra azienda il tema dell’inclusione – soprattutto femminile, considerando che il 76% del nostro personale è donna – rappresenta una sfida importante: a livello globale ci siamo dati l’obiettivo di avere il 40% di donne nel board, in posizioni manageriali; a livello italiano questa percentuale sale del 10%, perché mi sono posta l’obiettivo personale di avere nel mio management team il 50% di colleghe. Questo è la il mese del Pride e per il secondo anno abbiamo lanciato una survey, con la quale chiediamo quanto le persone si sentano incluse e in grado di esprimere la propria identità e il proprio orientamento sessuale nel luogo di lavoro, sia internamente nella nostra azienda, sia esternamente. 

L’inclusione si declina poi nell’ambito delle diverse abilità e disabilità e dell’ageing, la convivenza fra età e generazioni diverse: sono tematiche che però rappresentano la quotidianità della nostra azienda e sulle quali lavoriamo da anni, connaturate quindi al nostro DNA».

Una delle domande più inflazionate durante i colloqui di lavoro è “come si vede tra cinque anni?” La poniamo anche a lei. Come si vede tra cinque anni? E soprattutto come vede il mondo del lavoro tra cinque anni?

«Mi vedo in un prossimo progetto, impegnata in un’altra sfida. Nel mio percorso professionale ho sempre cambiato ruolo ogni quattro o cinque anni. Il mio obiettivo è ricoprire al meglio questa posizione in un arco temporale breve. Questo non è un punto d’arrivo, ma un ulteriore punto di partenza».