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Smart working: è tutto oro quello che luccica?

Scritto da Alessandra Caputo | 09/08/22 9.41

«Tutte le mattine mi sveglio e passeggio sul bagnasciuga, poi faccio un’ottima colazione a chilometro zero, accendo il pc e inizio a lavorare col sorriso, rigenerata», mi dice Barbara, account manager da due settimane in smart working in Sardegna. 

«Credo che a Milano mi sarebbe venuto un esaurimento nervoso», continua, «caldo soffocante e difficoltà a staccare, mentre qui la natura ti ricarica, sono più produttiva, efficiente e a fine giornata non ho quella sensazione di eterna insoddisfazione, anzi, mi sento realizzata e appagata». 

Barbara è una dei tanti lavoratori agostiani che hanno scelto lo smart working per poter godere di un po’ di relax durante il tempo libero. Certo, ormai siamo in piena estate, ma non tutti sono in ferie e forse l’ufficio o l’appartamento in città si possono sostituire con posti più accoglienti e a contatto con la natura. 

Ad esempio, per chi sogna la montagna in questi giorni di afa, il Trentino offre la possibilità di scegliere una casa vacanza con postazione per lavorare nella natura. Sul sito turistico ufficiale è possibile scegliere tra diverse strutture, molte delle quali offrono anche esperienze di food e wellness per aiutarti a staccare davvero la spina a fine giornata.

Se invece si preferisce il fascino del borgo allora Wonder Grottole in Basilicata è il posto giusto, dove nel Rural Coliving si può lavorare e allo stesso tempo vivere in prima persona tutte le esperienze del borgo. A pochi passi poi c’è il Lago di San Giuliano, nell’omonima riserva naturale o, a meno di un’ora di auto, gli stabilimenti balneari che affacciano sul mar Ionio.

Restando al sud, ma questa volta in Puglia, troviamo la città di Brindisi, menzionata da Airbnb fra le 20 località mondiali remote worker-friendly selezionate dal programma “Live and Work Anywhere”.  Qui, nel cuore del Mediterraneo, non mancheranno le occasioni per rilassarsi, soddisfare il palato e godersi il mare. 

Ancora Mediterraneo, ma questa volta fuori dai confini nazionali, ecco la Grecia, dove c’è solo l’imbarazzo della scelta. Dalla capitale Atene per chi non vuole rinunciare a un po’ di movida e cultura, fino alle isolette più sperdute dove perdersi nelle acque cristalline e il verde delle colline. Le offerte di spazi di coworking poi non mancano, come l’originale Office12 a Heraklion, nell’isola di Creta. 

Infine, per chi non vuole rinunciare a un’esperienza originale, c’è il Kantoor Karavaan, una postazione di lavoro mobile nei Paesi Bassi, per singoli, gruppi e aziende alla ricerca di esperienze speciali di team building. Natura e sostenibilità sono i concetti che animano questo mini caravan con all’interno tutto il necessario per lavorare con lo spirito giusto. 

E mentre in Olanda il lavoro agile diventa un diritto tutelato dalla legge, in Italia dal 1 settembre cambiano le regole del gioco e si ritorna alla necessità di un accordo consensuale tra datore di lavoro e dipendenti. Quindi, per chi volesse approfittare della possibilità di lavorare immerso nella natura o da un paesaggio tropicale, il consiglio è quello di affrettarsi e farlo entro il 31 agosto, perché dopo potrebbe essere più complesso. 

Ma è tutto oro quello che luccica nello smart working? Lo abbiamo chiesto a Savino Balzano, sindacalista e saggista, autore del volume “Contro lo smart working” edito da Laterza.

«La narrazione che si fa dello smart working è molto lontana dalla realtà, siamo in piena estate, molti di noi vanno al mare, ma quanti smart worker incontriamo effettivamente sulle spiagge?» chiede Balzano, «la realtà è che la quasi totalità dei lavoratori svolge lo smart working dalle mura domestiche, con pesanti ricadute individuali e collettive». 

Secondo Balzano lo smart working pone il lavoratore davanti a tutta una serie di problemi: l’aggravio dei costi, sia dal punto di vista energetico (usa le sue utenze per lavorare) che dell’usura degli strumenti; l’impoverimento del lavoro stesso perché lo smart working prevede il taglio di tutta una serie di istituti retributivi, come i buoni pasto o le indennità legate alle modalità di prestazione lavorativa; l’allungamento della giornata lavorativa con buona pace del diritto alla disconnessione e che contribuisce all’impoverimento del lavoratore (giornata lavorativa più lunga a fronte della stessa retribuzione); infine tutto ciò che concerne il tema della salute e della sicurezza, che, in regime di smart working, non è più competenza dei datori di lavoro, se non in termini informativi. 

«Ci sono anche gravi rischi di natura collettiva, l’isolamento atomizza la comunità lavorativa in ipotetiche monadi di autosufficienza. In questo modo la comunità lavorativa è erosa, i dipendenti non riescono a organizzarsi come controparte attiva e questo ha una ricaduta grave rispetto alla rivendicazione di diritti e tutele» continua Balzano. 

«Certo ci sono delle esternalità positive, come ad esempio evitare il traffico mattutino per recarsi al lavoro, però il punto è un altro: la soluzione non può essere lo smart working. Non possiamo attribuire allo smart working la capacità di risolvere problemi come quelli legati ad esempio alla mobilità. È necessario ripensare il nostro modello sociale ed economico e trovare formule differenti e soluzioni più efficaci, magari prevedendo un intervento maggiore da parte dello Stato» conclude Savino Balzano.

Insomma, a poco più di due anni dall’esplodere del fenomeno dello smart working, il dibattito è ancora aperto.