In Finlandia per cercare lavoro?

Nel 2022 un rapporto dell’agenzia delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile ha indicato la Finlandia come “Paese più felice del Mondo”, secondo una serie di parametri che comprendono la trasparenza politica, il reddito pro capite, la generosità e il sostegno del welfare, che però vengono valutati da un campione selezionato di abitanti del Paese. Il Paese nordico ha mantenuto la vetta di questa singolare classifica, seguita da Norvegia e Islanda. Un luogo ideale dove vivere, complice anche la scarsa densità abitativa che vede un territorio grande poco più dell’Italia abitata solo da cinque milioni e mezzo di persone. 

Eppure, Helsinki ha un grande bisogno di lavoratori che non riesce a trovare. Secondo una stima del ministero del lavoro, già nel 2019 si sono persi 65mila posti di lavoro a causa della carenza di manodopera e così l’attuale governo guidato dalla socialdemocratica Sanna Marin ha ampliato le maglie di chi si può definire “esperto internazionale”: questa è la definizione utilizzata per definire un lavoratore specializzato richiesto nel Paese. Già il governo di centrodestra di Juha Sipila aveva varato un piano per attrarre imprenditori e specialisti di startup denominato Talent Boost. Adesso si è andati ben oltre, con un progetto che vuole invitare almeno 30mila nuove persone all’anno per far fronte alle varie mancanze. Secondo la definizione ministeriale, non è necessario che un “esperto internazionale” abbia un alto livello di istruzione e questo ha fatto sì che il partito dei Veri Finlandesi abbia criticato il provvedimento definendolo un modo surrettizio di reclutare “immigrazione a basso costo”. 

Ad esempio, però, secondo la Federazione delle Industrie Tecnologiche, al comparto che racchiude le aziende del tech e della metallurgia, ogni anno mancano 1500 persone in questo settore. Non ci sono a rischio però soltanto le aziende, a rischio c’è la tenuta del sistema: al momento il 39% della forza lavoro è composta da persone oltre i 65 anni e nel 2030 la terza età occuperà il 47% dei posti. Al momento il saldo dell’immigrazione è positivo, con 15mila persone in più che ogni anno scelgono di vivere in Finlandia. Uno dei settori più dinamici nell’accogliere stranieri anche con basse skill è quello delle pulizie: il 20% dei lavoratori non è nato in Finlandia ed è un percorso ottimale anche per garantirsi la cittadinanza. Sulle navi, l’opera dei futuri finlandesi è molto richiesta e secondo le dichiarazioni del sindacato di categoria questi “esperti” sono una «nazione invisibile che fa bene il proprio lavoro». 

Ci sono però anche dei difetti, in primis il clima: prezzi alti per quanto riguardo cibo e affitti, un lungo inverno rigido e quasi totalmente buio oltreché una lingua difficile da imparare sono due ostacoli che spesso scoraggiano chi si vorrebbe trasferire a Helsinki. 

Come abbiamo fatto cenno prima, un sentimento xenofobo è comunque presente nel Paese, non soltanto a livello politico, con il partito dei Veri Finlandesi che ha fatto la sua fortuna con queste retoriche, ma anche per quanto riguarda le scelte delle aziende, che preferiscono spesso puntare sui lavoratori nativi. 

Quindi che fare? Difficile conciliare fino in fondo la volontà dei cittadini con i bisogni delle imprese in certi casi. Per i sindacati, poi, i lavori a basso valore aggiunto, pur avendo una carenza, per attirare nuovi candidati prevedono “ salari che stentano ad aumentare”. 

Un problema comune a molti paesi: se negli Stati Uniti nel giugno 2021 aveva invitato i datori di lavoro a pagare di più i propri dipendenti per far fronte alla carenza, il Giappone pensa di ricorrere agli androidi per alcuni lavori ripetitivi come le già citate pulizie. 

Anche in Italia spesso finisce sul banco degli imputati il reddito di cittadinanza o una presunta “mancanza di voglia di lavorare” per quanto riguarda le carenze nella ristorazione o nell’industria ricettiva. Una semplificazione, così come chi sostiene che basta aumentare i salari per trovare manodopera sufficiente. Forse il modello finlandese può aiutare in questo senso, utilizzando il lavoro regolare come strumento per regolarizzare gli stranieri che ancora non hanno ottenuto la cittadinanza. L’assenza di lavoratori per coprire certe mansioni abbiamo visto che è possibile anche nel “Paese più felice del mondo”: perciò serve uno sforzo da parte degli attori economici e politici per trovare soluzioni innovative a un problema che fino a ieri sembrava impossibile ipotizzare. 

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