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Il diritto alla disconnessione

Scritto da Marco Trabucchi | 13/09/22 15.39

In una vita in cui gli impegni lavorativi sembrano spesso sovrastarci, si parla sempre più spesso di diritto di disconnessione, ovvero il diritto di disconnettersi dal lavoro e di non ricevere o rispondere a qualsiasi e-mail, chiamata, o messaggio al di fuori dell’orario di lavoro. Spessissimo nella cultura del lavoro le aspettative nel rimanere sempre connessi sono implicite (o esplicite), riguardo al controllo delle e-mail a casa fuori dall’orario di lavoro, come durante i fine settimana e le vacanze, soprattutto da parte di manager e supervisori. Un filo di Arianna costantemente teso, collegamento costante che porta alla mancanza di riposo, sviluppando ansia, depressione e nei casi più gravi la sindrome da burnout.

Un effetto amplificato dalla diffusione del remote working durante le fasi iniziali della pandemia, con lo stravolgimento delle routine di milioni di lavoratori in tutto il mondo, che ebbe come effetto di favorire una discussione sulle implicazioni profonde di un’adesione di massa e mai tanto estesa come allora al modello del lavoro da remoto, accelerando un dibattito già avviato prima della pandemia riguardo al cosiddetto diritto alla disconnessione.

Per molti aggiungere un confine marcato alle comunicazioni dopo l’orario di lavoro e fornire ai dipendenti il diritto di non impegnarsi in alcuna attività lavorativa una volta a casa, con la garanzia di non essere rimproverati per non essersi connessi (o, al contrario, premiati per essere rimasti collegati quando si sarebbe potuto non farlo) sarebbe una conquista di civiltà. Un dibattito legato alla progressiva trasformazione dei moderni ambienti di lavoro e all’introduzione di strumenti che da un lato hanno conferito maggiori libertà e flessibilità ai dipendenti, dall’altro hanno reso più incerto il confine tra la vita lavorativa e quella privata, e più frequenti le interferenze della prima nella seconda.

Legislatori, sindacati e associazioni sono da alcuni anni impegnati nel problematico tentativo di definire e introdurre un diritto alla disconnessione nel quadro più ampio delle leggi sul diritto del lavoro. Il primo paese a introdurre il diritto alla disconnessione a livello legale nel 2016 è stato la Francia – in un contesto da tempo noto per le ampie tutele contro i licenziamenti e la legislazione sul tempo pieno a 35 ore settimanali – all’interno della Loi du Travail. Questa legge ha introdotto l’obbligo, per le aziende di almeno 50 dipendenti, di regolamentare il tempo libero dei dipendenti assieme al divieto di inviare comunicazioni fuori dall’orario di lavoro. Ai cugini d’oltralpe si è accodato il Belgio, dove la legge individua nella tecnologia un fattore di rischio da stress, invitando i datori di lavoro ad adottare misure di contenimento, tra cui la disconnessione; il Governo irlandese, nel 2021 con il Code of Practice. In Germania e Spagna, invece, la disconnessione è generalmente regolata dai contratti collettivi o inserita nelle policy aziendali.

In Italia il diritto alla disconnessione è disciplinato dal dalla legge 22 del 2017 n. 81 sul Lavoro Agile, la cosiddetta legge sullo smart working, che prevede un accordo individuale tra lavoratore e datore di lavoro che individui le misure necessarie per assicurare la disconnessione. Recentemente, poi, nella legge di conversione del Dl n. 30/2021, è stata introdotta una norma che riconosce al lavoratore il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche, nel rispetto di quanto stabilito negli accordi individuali, nei quali possono essere concordati periodi di reperibilità.

In pratica, non essendoci norme generali che siano di riferimento per tutti i lavoratori, l’applicazione del diritto alla disconnessione ricade nella negoziazione individuale, con la legge che concede ampio respiro ai datori di lavoro. Un’altra criticità è che la norma riguarda solamente i lavoratori in smart working, non prevedendo la possibilità di estendere il diritto a tutte le categorie di lavoratori a cui viene richiesto un alto grado di reperibilità.

«Il problema, in parte, risiede nel concetto stesso di disconnessione, in particolare se associato allo smart working»,  ha dichiarato al Sole24Ore Aldo Bottini, partner di Toffoletto De Luca Tamajo, dell’osservatorio Ius Laboris sul diritto del lavoro . «Non è detto che il tempo di connessione coincida con l’orario di lavoro. Il lavoratore potrebbe restare connesso senza lavorare, ed è quello che accade nelle fasce di semplice reperibilità, così come al contrario parte dell’attività lavorativa potrebbe svolgersi al di fuori dalle piattaforme digitali. La norma sulla disconnessione rende necessario prestare attenzione nella formulazione degli accordi individuali, che dovranno definire le fasce orarie nelle quali il lavoratore deve essere reperibile, eventuali periodi o orari in cui è richiesta la prestazione lavorativa, i tempi di riposo. Sarà poi opportuno, per le aziende, adottare misure di sensibilizzazione e formazione sui luoghi di lavoro per prevenire i rischi legati a quella che il Parlamento Europeo ha definito cultura del sempre connesso».

Con la pandemia che ha acuito e messo in primo piano le criticità dello smart working, si auspica l’introduzione di una nuova legge a riguardo. In questo senso il presidente del Garante per la protezione dei dati personali ha espresso un interessante punto di vista nella sua audizione del 13 maggio 2020 sulle ricadute occupazionali dell’epidemia da Covid-19. Il presidente del Garante ha affermato come sia necessario assicurare «in modo più netto di quanto già previsto – anche quel diritto alla disconnessione, senza cui si rischia di vanificare la necessaria distinzione tra spazi di vita privata e attività lavorativa, annullando così alcune tra le più antiche conquiste raggiunte per il lavoro tradizionale».

Oltre all’importante tema della tutela del tempo libero del lavoratore, il presidente del Garante si è soffermato anche sulla necessità di impedire ai datori di lavoro «di esercitare un monitoraggio sistematico e pervasivo dell’attività compiuta dal dipendente tramite dispositivi di controllo informatico», sottolineando l’importanza non solo del diritto alla disconnessione, ma anche del prevenire gli eccessi nell’utilizzo del potere di controllo da parte del datore di lavoro.

La strada è tracciata: il diritto alla disconnessione sarà un punto fondamentale dal quale ogni datore di lavoro non potrà prescindere. Nell’attesa che dall’Europa, arrivi un segnale chiaro, dopo che il Parlamento europeo ha invitato a presentare una proposta di Direttiva dell’Unione affinché gli Stati membri garantiscano alcuni elementi comuni a tutti.