Viviamo nell’epoca dell’incertezza professionale. Abbiamo imparato che cambiare è legittimo, a volte obbligatorio, ma il cambiamento a cui stiamo assistendo va al di là della Great Resignation, oltre il quiet quitting o la necessità perenne di potersi concedere lo smart working. Si cambia per evolvere, migliorare o trovare una situazione più coerente con i propri valori, interessi e personalità, in linea con ciò che è realmente richiesto dal mercato. Ma affinché questo avvenga è necessario prima conoscere il punto di partenza, capire la propria situazione lavorativa attuale e poi, solo a quel punto, chiedersi: che fine farò? Dove la fine però suona più come «il prossimo inizio» precisa Luigi Centenaro, docente in numerose business school europee e fondatore di BigName, gli specialisti dell’innovazione di persone e team in azienda. A Febbraio 2023 uscirà come co-autore della nuova edizione di Business Model You, che presenterà il metodo per progettare il proprio lavoro tramite il celebre Work Model Canvas e il paradigma del Work Modeling: un parallelismo voluto con il concetto di business model o modello di business, tanto caro alle aziende di successo.
Su LINC ci spiega quali sono le domande da porsi per capire la propria situazione lavorativa e da lì ripartire per progettare il prossimo passo.
«Molte persone si lamentano del proprio lavoro, dei processi, dell’overworking, della violazione del work-life balance, dello stipendio. Mi sento spesso dire “Luigi voglio lasciare il lavoro il prima possibile, a breve mollo tutto, non ce la faccio più, questa situazione è insostenibile”, ma prima di farlo è necessario capire cosa conta davvero per noi. Me ne vado perché non ho la possibilità di ottenere qualcosa che conta per me. E allora la domanda che pongo io è: “Prima di mollare tutto dimmi, quanto fai (veramente) adesso?”
C’è chi lavora per i soldi e chi no. I valori sono strettamente personali e porvi l’attenzione ci aiuta a capire quali sono i fattori che determinano questa Great Resignation, il più delle volte dovuta a un disallineamento nel nostro “modello di lavoro”. Del resto vi sono persone che fuggono via, anche a fronte di potenziali aumenti a due cifre percentuali! Ma quando chiedo loro: cosa farai, hai chiarito l’obiettivo futuro, sai che fine farai? Ebbene spesso non è così tanto chiaro. Anzi, ho lo stesso riscontro in tutti i master in cui insegno. Anche a fronte di un esborso notevole per l’iscrizione i partecipanti mi descrivono più che altro una direzione in cui desiderano andare e non un obiettivo ben definito di carriera. Ecco perché ripeto spesso che nella carriera moderna il vero obiettivo sia avere un obiettivo! Saper passare da un “modello di lavoro” inadeguato ad uno più funzionale e quindi definire concretamente la risposta alla domanda “che fine farò?”».
«Sognare un nuovo lavoro o una nuova strada è normale, spesso però non abbiamo un metodo sistematico per concretizzare questo sogno. È proprio con questo scopo che Tim Clark ha introdotto nel libro il Work Model Canvas, il metodo in una pagina per progettare e innovare il proprio lavoro. Del resto il concetto di lavoro oggi è cambiato radicalmente. Non può essere semplicemente descritto in termini di ore in ufficio in cambio di uno stipendio. Il lavoro è molto di più, nel Work Model Canvas vi sono ben 9 aspetti che ci possono supportare nel farlo. Il punto di partenza è capire lo stato attuale del proprio lavoro identificando i punti di attenzione, gli elementi che generano costi eccessivi, soprattutto quelli intangibili quali stress, mancanza di stimoli, relazioni inefficienti o supporto inadeguato. Successivamente si potranno progettare i giusti correttivi, meglio se in maniera condivisa, tramite una conversazione strutturata con il proprio management: c’è sempre un modo alternativo per ottenere il giusto bilanciamento tra costi e ricavi personali e continuare a produrre valore per la propria organizzazione».
«L’innovazione professionale è l’integrazione del design thinking e del marketing strategico con i tradizionali modelli di sviluppo professionale. L’obiettivo è quello di superare il modello delle competenze e della pianificazione di carriera e focalizzarci sul modello del valore. Di fatto è la capacità di un professionista di innovare il modo in cui acquisisce, crea e distribuisce valore per la sua organizzazione. Del resto ci troviamo nell’era in cui l’innovazione agisce senza permesso, tutto cambia continuamente e si creano scenari sempre più competitivi con cui dobbiamo rimanere al passo. Se per competere le aziende innovano il modello di business, perché non dovrebbero farlo anche i lavoratori? ».
«Ovviamente senza le competenze non puoi creare il valore richiesto dal tuo lavoro, ma la prima domanda da porsi non è di quali competenze ho bisogno, ma è “quale valore devo produrre?”. La prima competenza quindi è la capacità di saper progettare il proprio modello di lavoro in linea con la propria identità e le richieste del mercato. Il Work Model Canvas è l’unico strumento al mondo che è in grado di mettere in correlazione le proprie caratteristiche, con il mercato e il proprio tornaconto! Un’altra competenza complementare è la capacità di fare network. Non significa scambiarsi i bigliettini, ma trovare sostegno e farsi contaminare, scoprire punti di vista e idee nuove, opportunità: le relazioni che servono sul luogo di lavoro sono molto più simili a una vera e propria amicizia che a un networking party. La terza competenza è il personal branding, la capacità di farsi un nome, raccontare la propria storia e attirare opportunità. Sono queste le abilità che poi ci servono a definire da soli “che fine faremo”, il nostro prossimo inizio. Oggi abbiamo tutte le risorse necessarie per costruire il prossimo step».
«Se sei consapevole del tuo modello di lavoro a un certo punto capisci che qualcosa non va. Vi sono dei costi intollerabili e occorre cambiare. L’uscita di scena però non è l’unica opzione. Vi sono ben 5 differenti domande e scelte possibili sulla carriera. Le domande sono importanti. Porsele ci aiuta a capire quale sarà il nostro prossimo inizio. Che fine faremo insomma. È necessario dunque comprendere qual è il nostro prossimo step.
Progredire? Desidero allora crescere professionalmente, avere più soddisfazioni o farmi promuovere. Uscire? La professione non fa più per me, non ho più stimoli e devo per forza andare altrove per valorizzare le mie competenze. Adattarmi? Devo rivedere alcuni miei valori, apprendere nuove competenze, modalità di relazione, presidiare nuove tecnologie. Reinventarmi? È tempo di creare qualcosa di nuovo, inventarsi una professione, è tempo di fare innovazione professionale. Rallentare? La situazione in cui mi trovo allora non è più sostenibile, ed è dunque il momento di fare downshifting, fare di meno, ridurre le ore, prendermi una pausa. Queste domande ci aiutano a renderci consapevoli che non possiamo aspettare che le cose cambino da sole e tornino alla “normalità” di un tempo, perché la normalità non esiste più. La normalità è quella che inventerai domani, quando avrai definito cosa farai».