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Emozioni al lavoro. Perché l’empatia è la nuova KPI

Scritto da Redazione di LinC | 11/10/22 18.43

Diffidate da chi diffonde il paradigma della razionalità: il lavoro è fatto di emozioni. Del resto, siamo umani. E come tali, abbiamo un cuore pulsante, che può entrare in contrasto o in empatia con chi ha di fronte. Che si tratti del collega di scrivania o del responsabile di reparto, poco cambia: la chiave per vivere bene nel nuovo mondo del lavoro, è imparare a gestire le emozioni. Parola di Francesca Romana Pugelli, Ph.D.Master of Science in Applied Psychology e professoressa di Psychology of Interactive Media e Applied Internship alla University of Southern California di Los Angeles, autrice di “Emozioni al lavoro”. Una guida pratica che con schede critiche, questionari e test, indaga lo spazio dell’emotività in ambito professionale, enfatizzando la necessità di imparare a comunicare e controllare le emozioni, con una specifica attenzione alla complessa situazione lavorativa attuale.  

Professoressa, qual è il ruolo delle emozioni nel mondo del lavoro?  

«Le emozioni sono fondamentali e sono uno dei canali attraverso il quale comunichiamo con l’ambiente che ci circonda, sia esso la scuola, una relazione tra pari o, appunto, l’ufficio. Ci viene richiesto, per questo, di imparare ad adattare il nostro comportamento a seconda dell’ambiente in cui ci troviamo, di tenere sotto controllo alcune reazioni fisiche, di gestirne la rilevanza filtrandone gli effetti con valutazioni più razionali e, infine, di riconoscerne il valore comunicativo riflettendo sul peso che esse hanno per noi stessi. In prima battuta, quindi, per capire appieno qual è il ruolo delle emozioni sul lavoro, dobbiamo imparare a riconoscerle e a chiamarle con il giusto nome. Solo da qui potremmo iniziare a gestirle».  

Qual è la strada per una corretta gestione delle emozioni?  

«L’ambiente lavorativo è un ambiente emozionale, perché composto da persone. La gestione delle emozioni passa quindi da due livelli: le competenze sociali, da affinare agendo a seconda del contesto di riferimento, e l’empatia, da allenare per entrare in connessione con le emozioni altrui. Da un lato, quindi, siamo noi a metterci in primo piano rispetto all’ambiente, dall’altro è l’ambiente a dover diventare protagonista. Capire se un collega è triste e attivarsi per aiutarlo è, ad esempio, una competenza molto importante».  

Con la pandemia, molte relazioni professionali sono state mediate da uno schermo. Questo come ha influito sulle emozioni?  

«Senza dubbio il lavoro a distanza ha inciso sui rapporti interpersonali: è mancata, e in alcuni casi manca ancora, la classica comunicazione alla macchinetta del caffè. Al tempo stesso, però, le video call hanno sviluppato una nuova familiarità: abbiamo acceso i riflettori sulle nostre abitazioni, scoprendo magari che il nostro collega ha un gatto o un bambino piccolo o che è appassionatissimo di montagna o di vinili. Aver puntato la telecamera nei nostri soggiorni, ci ha resi ancora più autentici e ha fluidificato le relazioni. Certo, non è semplice capire come replicare le conversazioni casuali, da corridoio, in questa nuova dimensione, ma esserci umanizzati è un aspetto positivo, ed è proprio su questo che dovremmo lavorare».  

Dare spazio alle emozioni è una caratteristica attribuita alle donne, spesso in senso negativo. Abbiamo bisogno di leader più “femminili” ed empatici nell’approccio alle relazioni sul lavoro?  

«Diffidate da chi dice di tenere le emozioni fuori dal lavoro: a ogni figura professionale è richiesta un’estesa capacità di gestione delle proprie emozioni, penso al venditore che deve essere sempre entusiasta o al manager che deve saper essere deciso e volitivo. Abbiamo per questo due modelli di leadership: managing by walking around, ovvero il manager che conosce tutto dei suoi dipendenti e che piacevolmente chiacchera con loro in vari momenti della giornata; e il leader ispirazionale, ovvero colui che senza bisogno di micro-management è capace di ispirare e diventare un modello per le sue persone. Come ci riesce? Simulando incontri informali, trattando con rispetto le sue persone, scegliendo i mezzi migliori per comunicare con il team a seconda dell’oggetto delle sue comunicazioni. Parliamo quindi di un approccio personalizzato che deve mettere in primo piano il benessere delle persone. Questa è la chiave per il futuro: abbiamo bisogno di manager e leader empatici che sappiano gestire le emozioni, senza reprimerle, far star bene il proprio team. Presto i manager saranno valutati anche su questi aspetti, non solo per rendimento in termini di produttività e fatturato. Questa è una cosa che in America già accade e che molto presto sarà diffusa anche in Italia. Perciò, allenatevi: le emozioni al lavoro sono destinate a restare».