La pandemia da Covid-19 ha stravolto completamente il mondo del lavoro. In Italia, in particolare, lo smart working ha preso piede ed è stato ampiamente riconosciuto come legittima e disciplinata forma contrattuale. Ma visto che spesso il diavolo si nasconde nei dettagli, nelle pieghe dello smart working ha trovato spazio una consuetudine pericolosa: lavorare da casa anche in malattia.
Per coloro che svolgono la professione tra le mura domestiche è diventato infatti sempre più complesso definirsi “in malattia da casa”. Qual è il grado di malattia che inibisce il lavoratore dalle proprie funzioni pur nella comodità logistica in cui si trova? La valutazione è fluida.
In caso di Covid, qualora il lavoratore risulti positivo dovrà andare dal medico curante, il quale certificherà lo stato di malattia e lo comunicherà telematicamente all’INPS. La malattia Covid verrà trattata, dal datore di lavoro, come una qualsiasi malattia e come tale, durante il periodo prescritto dal medico, il lavoratore non potrà svolgere alcuna attività lavorativa, anche da remoto.
Ma per tutto il resto? In caso di raffreddore, mal di schiena, mal di testa, febbre leggera. Quando il lavoratore da casa deve e può prendersi “una pausa”?
«Si ha la tendenza a sovrapporre la vita professionale con quella personale. Con questa sovrapposizione di tempo e spazio – spiega David Lazzari presidente nazionale dell’Ordine degli Psicologi – si finisce per continuare a lavorare anche in situazioni di lieve malattia che però ci avrebbe tenuti in passato lontano dal lavoro. Per esempio, ho una sindrome parainfluenzale lieve, ho 37.5 di febbre, un po’ di tosse, molta rinite. In passato avrei preso un giorno di malattia, forse due, per riposare e far passare dei sintomi che non sono gravi, ma che rendono più faticoso fare tutto».
Ora con lo smart working, con un quadro sintomatologico simile, si finisce per continuare a lavorare da casa: «Tanto me ne sto riguardato e non interrompo le attività lavorative per stare comunque a casa…» è quello che si dice il lavoratore.
«In molti casi il problema è la mancanza di chiarezza sulla malattia tra datori di lavoro e dipendenti» spiega Greg Couser, Medico del Lavoro presso la Mayo Clinic del Minnesota: a suo giudizio le aspettative sul posto di lavoro sono cambiate senza che le norme che regolano la malattia siano state aggiornate. Per alcune persone il cambiamento può essere considerato positivo: una lieve malattia permetterebbe di prendersi maggiormente cura di sé stessi rimanendo presso la propria abitazione e allo stesso tempo di portare a termine il lavoro necessario.
Tuttavia, ci sono molteplici ragioni cliniche e psicofisiche per cui potrebbe essere molto meglio concedersi invece una pausa adeguata. I dati proposti dalla Bbc mostrano infatti che lavorare in condizioni di malattia conduce a prestazioni lavorative peggiori, suggerendo inoltre un legame tra la rinuncia ai giorni di malattia e l’aumento del rischio di depressione. Un altro studio ha poi mostrato che lavorare da casa quando non si sta bene fa sentire i lavoratori ancora più in colpa rispetto allo stop completo dovuto a indisposizione.
Un trend in aumento che sta avendo diversi effetti collaterali sulla salute del dipendente e sul rendimento: quando sono malati, i dipendenti lavorano con un’efficienza del 60,6% rispetto a quando sono in buona salute, ha rilevato uno studio belga.
È vero anche che «la scelta – continua Lazzari – è condizionata chiaramente a una soglia soggettiva (legata al valore che attribuiamo alle cose, al lavoro, alla malattia, come ce la viviamo) e molto dipende dal contesto lavorativo (pubblico, privato, libero professionale) e ancora, dal coinvolgimento e dal tipo di motivazione al lavoro. Per questo è difficile standardizzare (almeno su due piedi) un modello di prevedibilità».
In generale, il problema diffuso, interesserebbe soprattutto il lavoratore del settore privato con un’istruzione superiore che lavora in una micro-azienda con un massimo di cinque dipendenti. Aspetto, questo, importante. Spesso infatti chi lavora in malattia lo fa per non gravare sui colleghi su cui ricadrebbe il loro carico di lavoro.