Consideriamo la tradizione dei falsi storici: la lista di bugie raccontate nel corso degli anni, tra carta stampata e non, è davvero lunga e sono tante le persone cadute nella trappola delle fake news.
Si parte dall’imperatore Costantino e la sua falsa donazione di un terzo dell’Impero alla Chiesa scoperta da Lorenzo Valla, all’articolo di Richard Adams Locke, anonimo autore della presunta scoperta della vita sulla Luna falsamente attribuita all’astronomo John Herschel, fino alla Guerra dei Mondi di Orson Welles e il suo racconto in diretta radio dell’atterraggio dei marziani.
Come qualsiasi altra dimensione del quotidiano, anche il mondo del lavoro non è esente dalla minaccia delle fake news: la diffusione di notizie false, incomplete o prive di fonti che attestino l’oggettività delle informazioni riportate, dilaga e favorisce la creazione di un’alterazione della realtà che spesso confonde chi legge.
Alcune delle notizie che oggi sono esemplificative della disinformazione che interessa anche il mondo del lavoro riguardano ad esempio lo smart working, i giovani e la loro formazione.
«Smart Working: un nuovo inizio?»: è il titolo di un articolo de il Corriere della Sera, dove il quotidiano condivide con i lettori una riflessione su quanto sia cambiato il mondo del lavoro italiano dopo il lockdown, e sull’importanza che ha acquisito per i dipendenti nella propria sfera personale. È stata una valida soluzione per il periodo della pandemia in cui bisognava attenersi al distanziamento sociale per le norme di sicurezza, ma alla fine non si può parlare propriamente di novità. Secondo quanto riportato dai dati raccolti dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, in smart working c’erano molti lavoratori che già da prima dell’avvento del Covid-19 erano triplicati, passando nel periodo tra il 2013 e il 2019 da 150mila a 570; il lockdown è stato il moltiplicatore di un fenomeno che già si stava verificando. Gli sviluppi futuri di questa modulazione professionale saranno molti; ora che è stato sdoganato del tutto il format del lavoro agile e sempre più aziende e imprese decidono di adattarvisi, si stanno raccogliendo proposte concrete che uniscono una crescita di prestazioni lavorative al rispetto per la dimensione del privato dei dipendenti.
La fake news per eccellenza interessa i giovani che, vittime di troppi luoghi comuni e “frasi fatte”, vengono spesso considerati inattivi nella ricerca d’impiego. L’idea stereotipata per cui non abbiano voglia di lavorare o siano infedeli alle aziende non corrisponde necessariamente alla verità: vivono con schemi di vita e ambizioni diverse dalle generazioni precedenti, e hanno altri desideri nel bilanciamento tra mondo del lavoro e personale. Da una parte vanno considerate le difficoltà che incontrano nell’inserimento del mercato professionale, che non sono poche, tra queste sempre più spesso parliamo della carenza di talenti (il dato globale si attesta al 75%); dall’altra, quello che raramente viene sottolineato è che la risposta giovanile a questa situazione consista spesso nel mettersi in proprio e creare in autonomia una realtà lavorativa. Acquisire più titoli di studio permette a molti ragazzi di realizzarsi come freelance e realizzare progetti personali.
È una credenza risaputa che il mercato del lavoro sia a caccia di ingegneri, informatici e medici, e in generale esclusivamente di profili che provengono da percorsi con un orientamento scientifico. Tuttavia, emerge sempre di più il bisogno della società di oggi di figure ibride che affianchino a competenze più tecniche anche quelle legate all’ambito socio-umanistico, perché da queste materie si possono cogliere tagli alternativi, ricchi di prospettive e che aggiungono quel quid in più. Gli studenti delle materie classiche sono anche i più propensi a sviluppare le soft skill tanto ricercate dalle aziende e secondo un’analisi di MarketWatch su dati PayScale, chi conclude con successo una laurea in filosofia, ha il doppio di possibilità di raggiungere la posizione di CEO.