Alberto Moravia ha dedicato un intero romanzo alla noia – per l’appunto La noia – in cui Dino, pittore trentacinquenne deluso e in crisi, rivela tutta la sua necessità di dedicarsi alla pittura per non annoiarsi, perché per lui la noia significa inadeguatezza alla realtà. Ma Moravia non è il solo. Parlare di noia consente di riferirsi a un sentimento che da sempre affolla la letteratura: c’è Charles Dickens in Bleak House che nel 1852 per la prima volta attribuisce al suo personaggio Lady Dedlock l’espressione annoiato a morte: «Sono annoiata a morte di questo luogo, annoiata a morte della mia vita, annoiata a morte di me stessa».
Lasciata da parte la letteratura, la noia è vita vera, condizione comune di donne e uomini, soprattutto da quando il coronavirus si è avventato sulle nostre vite e siamo stati costretti a lunghi periodi di lockdown in cui dovevamo stare chiusi in casa, spinti improvvisamente a trovare un modo per passare il tempo, non sempre facilmente. La noia si rivela una parte della nostra quotidianità: sul lavoro, per esempio, è un sentimento molto comune. Proprio come lo stesso Dino, nelle pagine di Moravia, che cercava in tutti i modi di lavorare dipingendo, ma non si sentiva mai stimolato abbastanza.
Eppure c’è una domanda che è giusto porsi: la noia dovrebbe davvero farci così paura? Secondo gli psicologi James Danckert e John D. Eastwood, gli autori di Out of My Skull: The Psychology of Boredom, non dobbiamo temerla. Nonostante il ritratto terribile con cui è rappresentata, le loro ricerche rivelano che essa è ampiamente fraintesa, forse persino ingiustamente detestata perché, in realtà, è come una spia che si accende per segnalare la necessità di trovare un’attività diversa che ci impegni. Lo ha raccontato Danckert al The Guardian: «Penso che sia una buona cosa per molti versi. Il modo in cui reagiamo alla noia dipende da noi. Penso che si possa ridurre, ma non dovremmo mai eliminarla del tutto».
Proprio per questo sembra essere fondamentale capire quale sia la causa principale della nostra noia, in modo tale da far sì che questa ci aiuti a riorganizzare, almeno in parte, il nostro tempo e fare scelte migliori e più gratificanti, persino sul lavoro. Ad esempio, prendiamo una semplice giornata lavorativa: arriviamo in ufficio, ci sediamo alla nostra scrivania e ci troviamo ad affrontare tutti i diversi compiti giornalieri. Come racconta Melinda Wenner Moyer in un articolo del New York Times, una delle prime situazioni in cui potremmo provare noia è quando un compito di lavoro si rivela troppo difficile da affrontare e non sappiamo da dove cominciare – come quando guardando un film, è così complicato da perdersi nella trama – o, viceversa, quando è troppo facile e non ci sentiamo stimolati.
Melinda Wenner Moyer racconta fino in fondo il sentimento, soprattutto grazie a una conversazione con la dottoressa Erin Westgate, ricercatrice all’Università della Florida, e con Andreas Elpidorou, un filosofo che studia le emozioni e la coscienza all’Università di Louisville. La dottoressa Westgate ha spiegato al New York Times: «Per essere in grado di prestare e mantenere l’attenzione su qualcosa, è necessario che le richieste cognitive e le risorse cognitive siano equilibrate». Ci sentiamo annoiati anche quando un compito non stimola i nostri valori sul lavoro, perché questo fa scaturire una sensazione di profonda insoddisfazione. Sempre secondo la dottoressa Westgate spesso, in ufficio, è anche la mancanza di autonomia a peggiorare la sensazione: avere una deadline, sentirsi obbligati a fare qualcosa – che sia una riunione o un compito – può accrescere la sensazione di sfinimento.
Secondo gli studi, ci sono però dei piccoli escamotage che possono essere applicati per alleviare la noia: se si è obbligati a eseguire un compito, senza alternative, si può fare di tutto per renderlo il più stravagante possibile, magari anche più complesso. Il dottor Elpidorou ha detto che «la noia ci deve spingere a voler fare altro». Una volta Elpidorou ha parlato con un dipendente il cui compito era scaricare e scansionare scatole tutto il giorno, e che gli ha confessato di non essersi mai annoiato nella sua vita perché, insieme ai suoi colleghi, ha giocato a rendere il lavoro più impegnativo e divertente. Anche ascoltare la musica può aiutare perché, secondo la dottoressa Westgate l’ascolto della musica «assorbe quelle risorse dell’attenzione extra di tutti gli individui, in modo che ciascuno possa, paradossalmente, concentrarsi meglio sulla cosa poco stimolante che sta eseguendo». Se invece si è annoiati perché il compito lavorativo è troppo difficile si potrebbe suddividere l’attività in parti più piccole in modo da farla sembrare più gestibile.
Spesso la noia può fare paura, ma non va demonizzata – a dirla tutta, come sostengono gli esperti – può essere considerata un invito all’azione.