Cosa faremo da grandi?

Cosa faremo da grandi è una domanda che dura forse tutta la vita e che durante i mesi di fermo generale ci siamo fatti più volte rispondendoci magari in tanti modi diversi, senza ancora aver trovato risposta. Sicuramente saremo più resilienti (lo scrive l’economista Jeremy Rifkin nel suo ultimo libro L’età della resilienza, appunto), ecologici (non lo siamo già?), rigenerativi (si spera), attenti alla qualità della nostra vita (e quindi del nostro lavoro) più di quanto non lo siamo mai stati.

Ma cosa ci guida nelle nostre scelte? Il nuovo numero di LINC si è interrogato – e vi ha interrogato attraverso un sondaggio diffuso su LinkedIn e realizzato da Luigi Centenaro – su quali sono effettivamente i principali driver del nostro prossimo futuro in ambito lavorativo. Non basta infatti fermarsi al fatto che la volontà è quella di cambiare – le ormai dibattute grandi dimissioni – ma bisogna capire cosa ci spinge a voler stravolgere tutto, partendo da una autoanalisi (cominciata due anni fa e probabilmente ancora in corso) e arrivando a immaginarci in una realtà essa stessa difficile da immaginare (quanti di noi riescono davvero a prefigurarsi di lavorare nel Metaverso?)

Così mentre Elon Musk, in totale controtendenza, chiede ai dipendenti di Twitter di tornare a lavorare in ufficio almeno 40 ore a settimana, sembra in realtà che il lavoro contemporaneo sarà sempre più flessibile, offline e manuale – secondo quanto scrive il filosofo Leonardo Caffo in uno degli editoriali di apertura (e meno male, visti i licenziamenti di massa di Meta, Salesforce e Twitter) – e le domande “chi siamo” e “cosa facciamo” – sulle quali si sofferma la scrittrice e neo mamma Nadia Terranova – e soprattutto “come lo faremo” sono tutte domande sempre più lecite. Una vita ibrida insomma fatta di continue scissioni – come nella serie presentata da Apple tv proprio quest’anno, Severance appunto, in cui il perfetto work-life balance si ottiene separando nettamente ciò che accade a lavoro da ciò che accade a casa tramite un microchip impiantato nel cervello – che abbiamo pensato di rappresentare con alcuni ritratti scattati tra case e uffici di professionisti che lavorano nei settori più variegati – dal design all’editoria, dall’archivio artistico alla consulenza – e con il portfolio curato da Domenico Carnimeo che chiude questo numero di LINC e che invita i lettori a un gioco. E mentre cerchiamo il personaggio che si aggira con il suo computer portatile nei vari contesti illustrati – dall’ufficio, al viaggio in aereo o in macchina, fino ad arrivare alla giungla e addirittura nello spazio – viene naturale chiedersi: che fine farà, il nostro smart worker?

*Nell’immagine in evidenza due delle illustrazioni di Domenico Carnimeo 

Articoli Correlati

La prova del nove

Crescita demografica e conseguente aumento dell’occupazione sono due degli obiettivi principali che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si prefigge di raggiungere. Le aree di intervento e le...

LEGGI DI PIÙ