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The New Human Age: a Davos 2023, l’approccio umano al futuro del lavoro

Scritto da Redazione di LinC | 27/01/23 17.41

Il Covid-19 prima, la guerra in Ucraina, poi. Il mondo è a un punto di svolta critico. Il rincorrersi di crisi globali ha definito nuovi valori e nuovi bisogni che, se non compresi, rischiano di impattare pesantemente sul futuro, generando ulteriori incertezze e fragilità. L’annual meeting del World Economic Forum, tenutosi a Davos dal 16 al 20 gennaio, è partito da qui, invitando i leader dei governi, le imprese e la società civile a riscrivere le regole della cooperazione globale per contribuire a determinare un futuro più sostenibile e inclusivo. A partire dal lavoro

Se già oltre dieci anni fa, ManpowerGroup in occasione del WEF 2011, annunciava l’ingresso nella Human Age, portando il mondo intero a porre attenzione al valore del capitale umano, ora rilancia presentando la The New Human Age: in un’epoca caratterizzata da fortissimi cambiamenti generazionali, da crescenti divari di genere, dall’evoluzione del lavoro ibrido e da nuovi rischi globali, è più che mai urgente comprendere i nuovi bisogni delle lavoratrici e dei lavoratori. Partecipando al Forum di Davos 2023, infatti, ManpowerGroup ha presentato la ricerca condotta con il contributo di 13.000 decision maker e 8.000 lavoratori di otto Paesi (USA, UK, Spagna, Italia, Francia, Germania, Svezia e Norvegia), da cui emergono 14 tendenze chiave che guideranno il futuro del lavoro. 

Partiamo dal why, come direbbe Simon Sinek. Con la pandemia, abbiamo riscoperto l’importanza di avere uno scopo e dei valori in cui credere. Questo è vero soprattutto per la Gen Z che si aspetta sempre di più dal proprio datore di lavoro, sia sui temi di Diversity, Equity, Inclusion e Belonging (DEIB) che su Climate Change e sostegno ai movimenti LGBTQ. E attenzione, perché entro il 2025 la Gen Z costituirà il 27% della forza lavoro globale. Una generazione che per il 68% si definisce non soddisfatta dai progressi fatti dalla propria azienda in termini di inclusività. Oltre la metà degli intervistati di questa fascia d’età, addirittura, non accetterebbe un ruolo in un’impresa che non ha una leadership diversificata. Le organizzazioni dovranno quindi lavorare su questi valori, per fronteggiare le sfide sociali all’interno degli indicatori ESG. Il 38% delle aziende italiane, infatti, assumerà talenti in questo ambito nei prossimi anni. 

Direttamente collegato al tema valoriale è quello della flessibilità e del work life balance, o meglio ancora del work life integration. Le persone oggi vogliono una vita piena, sì, ma non solo di lavoro. Non importa l’età o il genere, le persone sono alla ricerca di imprese che riconoscano l’importanza di un ambiente di lavoro più sano ed equilibrato: il 33% dei lavoratori italiani attualmente impiegati sarebbe disponibile a cambiare ruolo tra un mese, se fosse previsto maggiore equilibrio tra lavoro e attività personali. E molte sono le sperimentazioni in corso: negli Stati Uniti e in Irlanda, ad esempio, dopo aver sperimentato la settimana lavorativa da 4 giorni per sei mesi, il 97% dei lavoratori vorrebbe adottare stabilmente questa soluzione. E anche in Italia, 4 lavoratori su 10 rinuncerebbero al 5% del loro stipendio per lavorare solo 4 giorni a settimana. Al contempo, il 2023 sarà il banco di prova per il lavoro ibrido: gli italiani che lavorano da remoto affermano che rispetto ai loro colleghi che lavorano sempre in ufficio, hanno meno possibilità di trascorrere del tempo con i senior manager (39%), di imparare dagli altri (35%), di essere presi in considerazione per una promozione (32%), di fare brainstorming (26%) e di ricevere formazione dall’azienda (20%). La socialità e il contatto con il team sono quindi i principali motivi per cui le persone tornerebbero a lavorare in presenza. 

Altro tema scottante è quello delle competenze. Per lungo tempo, uno dei requisiti più usati per valutare e selezionare i candidati è stato il titolo di studio. Ora, con il 72% delle aziende italiane che segnalano una carenza di talenti, si sta pensando di ridurre, se non eliminare, il requisito legato alla laurea. Per citare solo alcuni esempi, Google, Delta Air Lines e IBM hanno deciso di passare a un modello di valutazione dei candidati che tenga in considerazione dati e insight, e non solo la carriera accademica. Non solo: per far fronte al Talent Shortage, le aziende stanno pensando di riportare a lavoro i pensionati. Si tratta di persone con alle spalle una lunga esperienza, che potrebbero tornare a dare il proprio contributo attivo. Del resto: entro il 2030, sul mercato del lavoro globale ci sarà una carenza di 85 milioni di persone, all’incirca equivalente alla popolazione della Germania. Il tutto, mentre continua a crescere la ricerca di lavoratori specializzati e si attendono 149 milioni di nuovi posti di lavoro nel digitale entro il 2025. Tutto ciò comporterà l’esigenza di un reskilling per più della metà della forza lavoro, anche se il 35% dei lavoratori italiani afferma di non avere tempo per partecipare a corsi d’aggiornamento.

«Dobbiamo preparare 1 miliardo di persone per l’economia di domani. La reskilling revolution sarà centrale: dobbiamo far sì che tutti abbiano le competenze necessarie per sfruttare le tecnologie e creare un futuro lavorativo più vicino ai bisogni delle persone. Così potremo costruire un percorso di crescita davvero inclusivo», ha spiegato Jonas Prising, CEO & Chairman di ManpowerGroup intervenendo a Davos

Mai come quest’anno, infatti, il Forum ha riaffermato il valore del dialogo e della cooperazione pubblico-privato quali strumenti fondamentali non solo per affrontare le crisi attuali, ma anche per traghettare il cambiamento a lungo termine. Ragionare in ottica sistemica, del resto, può consentire di mettere in campo politiche pubbliche e strategie aziendali proattive per affrontare meglio le complessità del presente e costruire un futuro con meno disuguaglianze. Capire come accelerare la transizione energetica, come gestire l’impatto delle misure protezionistiche, come promuovere le tecnologie emergenti, facendo leva sulla collaborazione tra ecosistemi diversi, anche concorrenti e, soprattutto, sostenere forti investimenti nell’istruzione, nelle competenze e nell’assistenza sanitaria per ridurre le nuove vulnerabilità sociali, sono gli obiettivi prioritari del nuovo patto di cooperazione tra Paesi, imprese e comunità. Goal che scommettono su una nuova centralità degli individui, proprio come previsto dai pilastri della New Human Age